ANOHNI & THE JOHNSONS
(Ravenna, Palazzo Mauro De André, 15 giugno 2024)
“It’s Time To Feel What’s Really Happening” (È ora di sentire cosa sta succedendo davvero) è il mantra di supporto a una serie di nuovi concerti in Europa, dopo circa 10 anni di Anohni con The Johnson, la band formata da 9 elementi con Julia Kent (violoncello), Maxim Moston (violino), Doug Wieselman (polistrumentista), Mazz Swift (violino), Leo Abrahams (chitarrista), Gael Rakotondrabe (pianoforte), Sam Dixon (basso), Chris Vatalaro (batteria), Jimmy Hogarth (chitarrista e produttore) e Johanna Constantine (danza). Concerti in cui viene presentato l’ultimo album My Back Was A Bridge For You To Cross (etichetta Secretly Canadian) oltre a una serie di brani proveniente dal suo nutrito repertorio. Unica data in Italia, il concerto di Ravenna si apre con una performance della ballerina Johanna su un palco minimalista, arricchito solo da una sequenza di luci colorate. I musicisti tutti vestiti di bianco siedono in semicerchio, Johanna entra in scena con delle corna di cervo e coperta da un velo bianco a coprire un corpo flagellato da segni rossi e neri. In tutte le culture il cervo bianco era considerato un simbolo ultraterreno di purezza, i Celti lo consideravano un messaggero dell’aldilà, mentre nel medioevo si pensava che, catturandolo, si potesse ambire ad un’ineguagliabile conoscenza spirituale.
Johanna-cervo bianco danza il pericolo di essere un animale tanto raro e desiderato dall’uomo e si dilegua poco dopo dietro le quinte, con movenze sinuose. Anohni la regina, appare completamente vestita di bianco con un velo a coprire il volto come l’abbiamo vista nei manifesti del concerto. Un boato del pubblico accoglie l’artista che attacca il live con il brano più significativo dell’ultimo album, Why Am I Alive Now, voce tremula e sofferente che dialoga con l’oscura chitarra vibrante che l’accompagna, “Perché sono viva adesso? /Non voglio essere testimone, vedendo tutta questa sofferenza del nostro mondo”. Non è un lamento inconsolabile al cielo, ma un invito all’azione, un invito ad ascoltare il nostro intuito e i nostri sentimenti profondi e chiederci: “Cosa posso fare?”. In un periodo storico come il nostro, denso di sconvolgimenti e di fronte a un paesaggio contemporaneo senza precedenti, i temi e le parole di Anohni sono più che mai attuali e fungono da monito per una società come la nostra sempre più distratta e disinteressata alla natura che la circonda e di cui è parte integrante.
Il J’accuse di Anohni si alza fiero e combattivo in brani come 4 Degrees, con un intro di batteria a risvegliare coscienze sopite e diventato nel tempo un inno per accompagnare le richieste degli ambientalisti durante la conferenza sul clima di Parigi del 2015; Manta Ray, un pezzo nominato agli oscar del 2016 come migliore canzone originale composta con J. Ralph per la colonna sonora del documentario “Racing Extinction” del regista Louie Psihoyos. Manta Ray parla del rischio di estinzione di molte specie animali dovuto alla crudeltà e all’egoismo dell’uomo e alla sua mancanza di capacità di agire per salvaguardare la diversità degli animali. Anche Hopelessness “senza speranza”, sesto brano in scaletta, tratta del collasso dell’ecosistema del nostro pianeta. Cut The World è una ballata a tinte noir, mentre Breaking precede un video dove appare l’attivista transgender Marsha P. Johnson (da cui la band ha preso il nome). È una sfida continua, quella di Anohni, i cui testi delle ultime canzoni riflettono sull’attuale panorama ostile per le persone queer in America, ma che si è sempre occupata, dalla fondazione del gruppo nel 1998, di tematiche animiste ed eco-femministe, natura e rapporti economici e infine politica, attingendo a sonorità provenienti dall’elettronica sperimentale, alla dance, al soul e all’avant classic. L’obiettivo da colpire in ultima analisi è il patriarcato, che da sempre squalifica i sentimenti, l’intuizione e le reazioni istintive a favore della ragione, seguendo un impulso genocida e sadico intento a sterminare o estinguere gruppi di persone che non si adeguano a quei parametri dettati dal loro sistema di potere.
Il concerto prosegue presentando canzoni piene di romanticismo come It Must Change o You Are My Sister, vero capolavoro proveniente dal primo inarrivabile I’m Bird Now che ha lanciato in orbita Anohni & The Johnson. It’s Time To Feel What’s Really Happening è il mantra, ed è proprio di questo “sentire” che ci dobbiamo occupare, dobbiamo entrare in connessione profonda con noi stessi e con il mondo che ci circonda, la cantante sembra ricordarcelo di continuo attraverso la sua performance, dove il corpo si svela con movimenti minimi, delicati, impercettibili, le mani fasciate da lunghi guanti bianchi sembrano tracciare una trama con fili invisibili. Motherless Child, Can’t, Everglade, Another World, Drone Bomb Me, scorrono via una dietro l’altra mentre noi siamo rapiti in uno stato di estasi, e ci accorgiamo che il pubblico applaude sempre più calorosamente. Man Is The Baby, sembra uscita direttamente da Berlin di Lou Reed, alla fine del brano ritorna in scena la ballerina Johanna Constantine, qualcosa è andato storto, il cervo ora appare sotto un velo nero e funebre, non c’è un happy end in questa triste storia di soprusi dell’uomo verso le creature animali.
Anohni parla alla sua generazione di cinquanta-sessantenni e ci sembra veramente strana l’assenza di un pubblico più giovane: il destino del nostro pianeta dipende solo da noi, ed è importante mettere da parte ogni interesse personale per agire con l’unico scopo di salvaguardare il nostro pianeta, tutti gli esseri viventi che vi abitano e che vi abiteranno in futuro. C’è tempo solo per un’altra canzone e un video finale prima del bis che chiude il concerto, la divina Anhoni si siede al pianoforte e inizia Hope There Is Someone e il Pala De André implode su se stesso, è un’ovazione calorosa e piena di affetto, quasi a cercare di sdebitarsi un po’ per la carica emotiva e sentimentale che ha riempito i cuori dei presenti. Tutti in piedi ad aspettare il saluto finale dell’artista che riemerge dall’oscurità certa di aver compiuto una performance memorabile. Per noi di Frastuoni sicuramente il concerto dell’anno.
Andrea Masiero
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