BUSH TETRAS
"They Live In My Head"
(Wharf Cat, 2023)
Quando si parla dei newyorkesi Bush Tetras il mio pensiero di vecchio appassionato settantenne non può non volare a quella magnifica e dissoluta stagione musicale della grande mela tra fine anni ’70 e primi ’80 che sin da quegli anni fu etichettata come No Wave e che ho avuto la fortuna di vivere in tempo reale: essa partorì artisti entrati ormai nella mitologia della musica più audace e nichilista come Mars, DNA, Lydia Lunch, Teenage Jesus & The Jerks, Contortions etc …
Un po’ di storia: i Bush Tetras, nati nel 1979, etichettati nelle cronache musicali forse un po’ avventatamente anche come band post-punk, muovono i primi passi un po’ di riflesso rispetto alla no wave più intransigente, connotati com’erano da un accentuata dimensione ritmica e soluzioni funky. A conferire al sound del gruppo anche una propulsione nervosa e frammentata la chitarra di Pat Place, una delle fondatrici, già resasi “colpevole” di aver contribuito alla nascita dei conturbanti e parossistici Contortions di James Chance. A cavallo tra i ’70 e ’80 i Bush Tetras incisero alcuni decisivi singoli ed EP 7″ e 12″ in vinile e audiocassette per etichette decisamente outsiders come 99 Records, Fetish Records e ROIR, raggiungendo la notorietà soprattutto con il brano Too Many Creeps.
Ecco cosa scrivevo nel 1981 (in tempi non sospetti) sulla mia fanzine cartacea Blacks Radio a proposito del loro EP Rituals: “Indovinate un po’ da chi è prodotto il gruppo newyorkese Bush Tetras in questo nuovo EP che segue Too Many Creeps? Dal batterista dei Clash Topper Headon, che pare vada pazzo per il loro sound. Cosa ci viene proposto? Nei primi due brani della “rhythm side” un funky pulsante e sanguigno nella più pura tradizione americana corretto dagli inquietanti umori di una voce femminile (Cynthia Sley). Cowboys In Africa nella “paranoia side” riesce ad essere anche più selvaggia; Rituals respira forti incensi magici e narra di fitti misteri di jungla primitiva. Penso che con maggiore spazio a disposizione i Bush Tetras faranno cose sconvolgenti.”.
Per ascoltare comunque il primo full lenght della band bisognerà aspettare addirittura il 1997, anno di pubblicazione di Beauty Lies (Tim/Kerr Records). Seguiranno Very Very Happy (2007, ROIR), Happy (2012, ROIR) e dopo 11 anni questo nuovo They Live In My Head (28 luglio 2023, Wharf Cat Records), la cui line-up oltre alla presenza di due membri originari, Cynthia Sley e Pat Place, contempla quella alla batteria di Steve Shelley dei Sonic Youth – in veste anche di produttore del disco – e di Cait O’Riordan al basso (ex Pogues ed Elvis Costello). È il primo disco della band per la Wharf Cat anche se l’etichetta ne aveva pubblicato nel 2022 la compilation retrospettiva Rhythm And Paranoia: The Best Of Bush Tetras.
Una vera piacevolissima sorpresa gli undici brani di They Live In My Head, molto distanti nelle dinamiche, arrangiamenti e mood dallo schizzato approccio ritmico e funk-oide che più di 40 anni fa rese i Bush Tetras una band di culto nei locali di tendenza americani e d’oltremanica. A partire già dall’iniziale corposa e tesa Bird On A Wire chi sperava (o ipotizzava vagamente come il sottoscritto) in un intrigante déjà vu nel 2023 degli hits pseudo-danzerecci Too Many Creeps o You Can’t Be Funky rimarrà sonoramente – o quasi – deluso: solo Things I Put Together o So Strange un po’ ne conservano memoria. L’impressione iniziale di avere a che fare con una creatura sonora completamente diversa diviene certezza man mano che si procede nell’ascolto di episodi generosissimi dal solido e ricco impianto compositivo ed esecutivo come Ghosts Of People, I Am Not A Member, la lunga e cangiante Walking Out The Door, densi a macchia di leopardo di un plastico, serrato e suggestivo noise/math rock di manifesta ispirazione Sonic Youth in cui spadroneggiano le magnifiche e mutevoli sei corde di Pat Place, ora spudoratamente noise ora atmosferiche e cariche di feedback.
È la veterana Pat Place la vera generosa protagonista di questo disco, insieme all’ancor più (dei vecchi tempi) efficacissima lead vocal Cynthia Sley. Colpevole senza ombra di dubbio di questo magnifico misfatto che si chiama They Live In My Head la magistrale produzione del batterista Steve Shelley, membro storico dei Sonic Youth, che degli incomparabili umori e rumori di quella band ha voluto impregnare la confezione del disco. Il conturbante/disturbante mood di episodi come i finali Another Room e The End – memori del miglior underground rock americano suburbano anni ’90 – è l’apoteosi di un disco che definire assolutamente imperdibile non è affatto un luogo comune. Capolavoro.
Pasquale Boffoli
Tracklist:
01 Bird on a Wire
02 Tout Est Meilleur
03 Things I Put Together
04 2020 Vision
05 I Am Not a Member
06 Walking Out the Door
07 So Strange
08 Ghosts of People
09 They Live in My Head
10 Another Room
11 The End