QUEENS OF THE STONE AGE
"In Times New Roman ..."
(Matador Records, 2023)
Non vi sono dubbi, né pareri discordanti sul fatto che i Queens Of The Stone Age siano la più grande rock band in circolazione, quella che nei decenni è riuscita ad unire il pubblico mainstream a quello alternativo, quella che ha portato una ventata d’aria fresca e rinnovamento al rock post stoner un po’ agonizzante e ripiegato su se stesso. È forse questo che li rende così divisivi? Probabilmente sì. Da un lato i fan duri e puri della prima ora, che mal digeriscono la virata art-rock delle regine, dall’altra coloro che la apprezzano, cogliendone lo spirito di rinnovamento e di ricerca. È su questa linea che si muove il nuovo lavoro: In Times New Roman …, ottavo album della band, appena pubblicato per Matador Records e registrato presso il Pink Duck Studio di Josh Homme e con qualche overdubbing agli Shangri-la Studios di Rick Rubin. Un album crudo, oscuro ed assordante, che segna un leggero ritorno alle tipiche sonorità del collettivo di Palm Springs, senza però abbandonare quel piglio di ricercatezza, come a voler spostare sempre più in alto l’asticella della creatività.
Ruvide e taglienti sono anche le liriche dei brani, frutto dei recenti problemi personali del suo autore, perdite di affetti comprese, l’amico Mark Lanegan su tutti. Le linee vocali in falsetto di Josh Homme si confermano catchy, quelle da crooner a tratti echeggiano Bowie, così come l’intro di Carnavoyer ricorda la Cat People del duca bianco. Le chitarre tornano granitiche, i soli variano da brano a brano, i riff, immancabilmente complessi, quasi al limite del math rock. Ciò che lascia perplessi è che tutto sembra fine a se stesso e che manchino soluzioni e idee che lascino un segno, come quelle che negli esordi della band hanno dato vita a brani che sono entrati prepotentemente nell’olimpo del rock, quelle di Songs For The Deaf per intenderci. Un disco ben fatto ma che sembra dettato più da una urgenza di espressione, che da una reale ispirazione. È ovvio che non si può chiedere ad un artista o ad una band di sfornare puntualmente l’album della vita, per questo motivo le 11 tracce di In Times New Roman …, pur non facendo gridare al miracolo, compongono un disco alternative/fuzz/garage più che ben fatto, roba che attualmente solo i QOTSA sono in grado di partorire, canzoni che solo il talento mostruoso di Josh Homme può creare.
Nino Colaianni