PIETRE NASCOSTE DAL SOTTOSUOLO:
BABY HUEY
"The Baby Huey Story"
(Curtom Records, 1970)
Una breve meteora. Questa è stata la carriera di Baby Huey, al secolo James Ramey. Baby Huey appartiene a quella pletora di musicisti legati al soul psichedelico, il cui principale esponente è Sly Stone. Ed è sempre ispirandosi a Sky And The Family Stone che Baby Huey – il soprannome è stato mutuato dal protagonista di un anime della Paramounts, l’Anatroccolo Gigante – fonda la sua band, Baby Huey & The BabySitter. La stazza è la caratteristica principale che fece di lui un front-man davvero atipico ed originale. A causa di una rara malattia, la sindrome di Sjogrenn, soffriva di una patologica obesità ed era arrivato a pesare fino a 180 chili. A complicare le sue precarie condizioni di salute ci sarà anche l’eroina, della quale fece un abuso considerevole fino alla morte per overdose nell’ottobre del 1970 a soli 27 anni. Baby Huey diventò una leggenda sotterranea post-mortem. Il suo soul psichedelico è ancora più radicale di quello di Sly Stone perché spinge il pedale verso una più marcata lisergia. Ma Baby Huey è stato anche un antesignano del linguaggio hip hop per il suo canto a base di una scansione in rima che già prefigura il parlato rap di dieci anni dopo. Soprattutto dal vivo si nota questo canto vicino ad un parlato in rima proto hip-hop.
L’unico LP prodotto è uscito nel 1970. Il titolo è The Baby Huey Story. Il disco colpì Donny Hathaway al punto che lo presentò a Curtis Mayfield e quest’ultimo prese Baby Huey sotto la sua ala protettiva e lo scritturò presso la sua label. Peccato che la saga di Baby Huey si interruppe bruscamente dopo questo unico disco, perché chissà cosa sarebbe potuto diventare se solo provassimo ad ascoltarlo: è straordinario, di una potenza vulcanica, degno di figurare fra i lavori più significativi dello psych-soul, insieme ai coevi dischi di Sly & The Family Stone, Isaac Hayes, Curtis Mayfield, Funkadelic, a tutto il giro della blaxploitation.
Questo disco porta un’innovazione nel linguaggio soul e funky non solo perché introduce l’elemento psichedelico ma anche perché vi troviamo già quell’estetica della “urban poetry” in rima che sarà di lì a un paio di anni la prassi artistica di Gil-Scott Heron per poi dare origine all’hip hop. È un aggiornamento di una costante comune a tutta la musica afroamericana dallo spiritual al rap: l’incontro fra l’elemento ludico della danza e il messaggio che si intende comunicare, sociale, politico piuttosto che precettistico. È una prassi che affonda le radici in un passato lontanissimo, al tempo degli antichi griot del Mali e che attraverso il commercio triangolare e una serie di passaggi è migrato in America arrivando fino ai giorni nostri con le tribù metropolitane di New York e della cultura hip hop. Il disco contiene solo due brani scritti da Baby Huey. Il resto consiste in tre cover di Curtis Mayfield, una di Sam Cooke, una di John Phillips dei Mamas & Papas ed una del produttore Michael Bruce Johnson.
Ora l’analisi per ogni singolo brano.
Listen To Me
Brano scritto da Michael Bruce Johnson. Apre il disco alla grande con il suo spigoloso funky-rock che sfodera una sezione fiati tirata a lucido in pieno stile JB’s, la band di supporto di James Brown, ed un organo psichedelico da pelle d’oca. È il biglietto da visita di questo fenomenale disco. Il cantato di Baby Huey è tonico al massimo fra acide e caustiche parole in rima degne del più arrabbiato James Brown e aperture vocali lisergiche alla Sky Stone che si lanciano in terrificanti acuti. Quindi subentra un liquido assolo di chitarra a metà fra Hendrix e John Cipollina. Da ultimo l’elemento percussivo, arricchito dalle congas che crea un mood molecolare di sensazioni groovy e danzerecce.
Mama Get Yourself Together
Il primo dei due brani scritti di pugno da Baby Huey. È uno spumeggiante strumentale psych-soul in cui tutti gli strumenti fanno egregiamente la loro parte e dimostrano la perizia degli esecutori. Una poderosa sezione fiati accompagnata da un organo lisergico che insieme creano un bel diorama di sensazioni funky-soul lisergiche, accompagnate dai ricchi accordi di una chitarra elettrica che qui fa la parte ritmica e supporta una solida base ritmica di basso pulsante in moto incalzante e una batteria lanciata più che mai con tanto di congas, quasi un ibrido fra Santana e i JB’s per un brano dalla forte tara filmica, da colonna sonora blaxpoitation. La ritmica è infatti l’elemento che dà forza all’insieme, Quincy Jones è dietro l’angolo.
A Change Is Gonna Come
La cover di Sam Cooke ripresa da un manipolo di artisti e che in questa versione trova la sua più felice realizzazione. Il brano viene dilatato fino a nove minuti e mezzo. Si cerca di riproporre nella prima parte il modello originale ma con un cantato che mostra un mood bluesy da brivido. E si raggiunge il climax nel refrain con la voce che si lancia in acuti che perforano il timpano e creano una sofferta passione blues. Difficile trovare altrove un cantato così potente dove confluiscono la forza del blues e l’anima più sofferta del soul. Organo e fiati egregiamente dialogano con questo cantato. Nella seconda parte del brano si assiste ad una mutazione verso uno spoken word con modulazioni di echi lisergici per poi assuefarsi in una soave “street poetry”. L’hip-hop è dietro l’angolo. Ma verso la fine si assiste alla rimonta nella sua sofferta potenza. Baby Huey ha saputo entrare fino in fondo dentro questa monumentale ballad di Sam Cooke, l’ha dilatata dandole un habitué lisergica, ha estratto il meglio della sofferenza del blues e ha prefigurato la street poetry della nazione rap.
Mighty Mighty
Una versione live del brano degli Impressions di Curtis Mayfield che viene trasformata in un’esibizione alla James Brown che, complice una potente sezione fiati, diventa spasmodica nel suo mood funk. Poi la partecipazione del pubblico gioca la sua parte nel creare una vibrante coolness.
Hard Times
Altra cover di Curtis Mayfield. È un pezzo fantastico dominato dal suadente cantato pregno di sofferenza ma anche di coolness. Quasi cinematografico nel cui svolgersi è caratterizzato da rimonte di fiati che sottolineano il suo ardore armonico di soul ballad. E l’onnipresente organo a donare le sue tinte calde di soulness. Senza nulla togliere alla ritmica di basso e batteria a guisa di maratoneta a perdifiato per le strade della città. Uno di quei brani che paiono concepiti per la colonna sonora di un film a metà fra la blaxploitation e Rocky.
California Dreamin’
Proprio lei! La cover del celebre hit dei Mamas And Papas. Qui viene resa nella versione strumentale dominata dal flauto che sostituisce il cantato. Parte lenta e riflessiva e poi esplode in una calda e romantica performance notturna in cui il flauto fa le veci delle strofe cantate dell’originale. Lontana da qualunque riproposizione olografica il brano è dotato di una personalità sua propria che addolcisce con queste linee di flauto quel tono forse un po’ troppo pomposo dell’originale (personalmente preferisco questa cover all’originale) e gli dona un fascino notturno, anche con quel po’ di mistero da suburbia metropolitana. Quincy Jones su queste sonorità costruirà la sua Weltanschauung.
Running
La terza cover di Curtis Mayfield. Un intro all’insegna della riverberazione lisergica più ipnotica. Quindi con un duro accordo di basso parte un grintoso e spigoloso funky-rock-psych-soul di quelli che entrano nella pelle. Groove possente alla maniera di Jimi Hendrix e pulsione fiatistica e cori di controcanto degni del migliore James Brown. Insieme forgiano uno di quei pezzi dove il miglior groove della musica afroamericana incontra le spigolosità più grintose del rock. Una bomba!
One Dragon Two Dragon
Il secondo brano originale scritto da Baby Huey. Anche qui siamo alla prefigurazione di Quincy Jones con le sue svolazzanti linee di flauto e l’andamento cinematografico. Però il soul psichedelico si percepisce fra le righe nelle evanescenze di organo, i tocchi di chitarra e l’ipnosi vaporosa di basso e batteria. Degna conclusione di un grande disco.
Marco Fanciulli