KURT VILE
"Watch My Moves"
(Verve Forecast, 2022)
Chi ha seguito Kurt Vile nella sua parabola artistica probabilmente saprà cosa aspettarsi da questa ultima uscita. Il songwriter di Philadelphia è stato uno degli ultimi alfieri del lo-fi e della psichedelia nella prima parte della sua carriera, fino al conseguimento di una piena maturità artistica con gli acclamati Wakin On A Pretty Daze (2013) e B’lieve I’m Going Down (2015) nei quali, seppur rimanendo fedele ai propri canoni, accennava aperture al pop e ad un certo mainstream, vedasi il singolo Pretty Pimp.
Questo nuovo Watch My Moves infatti prosegue su quelle strade pop, certamente più rassicuranti. L’atmosfera si fa più rilassata rispetto a quello a cui Vile ci aveva abituati, almeno negli arrangiamenti e negli accordi solari usati in quasi la totalità dei brani. La produzione ruffiana, la batteria in quattro e il ritmo andante sono il filo che tiene in piedi l’opera, donandogli un aspetto sorprendentemente country, e abbastanza in linea con la produzione indie contemporanea.
Qui più che altrove Vile paga tributo ai suoi punti di riferimento più ovvi, a partire dalla prima traccia, un’ottima e pianistica Going To A Plane, nella quale ci racconta le gioie di aprire un concerto di Neil Young, e lo fa permettendosi una citazione di un altro artista al quale è stato continuamente accostato, ovvero Lou Reed, quello di New York Telephon Conversation degli inizi di Transformer (1972). Il fantasma di Lou Reed riappare anche in quello che forse è il brano più ambizioso dell’album, Palace Of OKV In Reverse, nel quale il cantato semi parlato (con tutti i vezzi della seconda parte di carriera della leggenda newyorkese) si adagiano su un tappeto di synth.
Un altro riferimento che viene in mente ascoltando Watch My Moves sono gli ex compagni di etichetta della Matador, i Pavement, quelli della seconda metà dei ’90, che avevano abdicato ai furori noise e lo-fi a favore di canzoni più melodiche e meno audaci. Gli echi della band di Stockton si possono ascoltare nella poppeggiante e rarefatta Mount Airy Hill (Way Gone), e nella doppietta Hey Like A Child e l’accattivante Jesus On A Wire che rendono bene l’identità dell’album.
I testi si inquadrano nella tradizione impressionistica e naif dell’autore, nel loro essere frammenti di quotidiana e familiare disperazione, che vanno parecchio in contrasto con l’atmosfera generalmente distesa del disco. L’unica intersecazione possibile avviene nella splendida cover della oscura Wages Of Sin di Bruce Springsteen, una outtake dimenticata di Nebraska, la cui malinconia, ben resa dal mellotron nel finale, risalta in maniera abbastanza sfacciata, in un disco che fino a quel punto era trascorso liscio e senza particolari sussulti.
Watch My Moves è un album che si lascia ascoltare con distratta facilità, perfetto per un tragitto in auto o mentre ci si prepara per un aperitivo in terrazza con gli amici; forse la durata di 73.44 minuti complessivi è eccessiva, specie per gli standard di attenzione odierni, e con qualche canzone in meno ne avrebbe quasi sicuramente beneficiato.
Gianluca Graziano