PSYCHO KINDER
"Epigrafe"
(Fonetica Meccanica, 2020)
“Quella fiamma mi parve la mia vita”
Carlo Michelstaedter (Poesie)
In questa Pasqua distopica appena terminata, disarmonica e disintegrata, tra l’olezzo del dì di Dante, infido e codino della corte dei cicisbei a tempo subordinato e il ronzio spione del drone dall’occhio sauroniano, incontro e mi caccio dentro il recupero di Epigrafe di Psycho Kinder. Sono anni che Alessandro Camilletti ingaggia con il fortunato ascoltatore un duello carnale, tra le spire di un suono spigoloso e carnale, dove l’elettronica e il ritmo si sposano con liriche dal sapore metafisicamente eterno.
Negli anni Psycho Kinder ha lavorato sempre più per sottrazione: l’iniziale elettrowave, di assoluta e pregevole fattura, ha lasciato spazio al gusto per il suono minimale, per l’accenno vocale teatrale, senza per questo scadere nel posticcio o nel caricaturale. I riferimenti, sempre altissimi, spaziano da Eraclito al Nietzsche più dinamitardo, da Julius Evola a Martin Heidegger, mentre in poesia si va da Giuseppe Ungaretti al silenzio di Paul Celan, che si incarica di riempire con le parole che anelano al silenzio quel processo per diminuzione che caratterizza l’ultima produzione di Camilletti. In questo senso Epigrafe, lavoro del 2020, è certamente di particolare pregio.
Il lavoro presenta 8 tracce, solo numerate, senza una titolazione, sono otto esperienze di claustrofobica teatralità, di sfaccettature multicromatiche, di urgenti parole, di pulsazioni vocali tra Antonin Artaud e Carmelo Bene. Micheletti ha lavoro in questo disco con alcuni dei più importanti sperimentatori sonori italiani del nostro tempo ed ha intessuto con loro un fecondo scavo di incastro e intreccio sonoro-testuale. Le parole sono asciutte, reiterate, secche, decise come sapevano esserle quelle di Carlo Michelstaedter, lucido e geniale filosofo italiano, morto suicida a soli 23 anni. Nel suo “La Persuasione E La Rettorica” del 1913, tesi di laurea del giovane filosofo, avvertiamo il senso di un percorso dentro al dolore dell’esistenza, in un gioco di combinazione e ricombinazione tra lucidità e smarrimento, che Micheletti declama non a caso proprio nella traccia numero 8, capolavoro di terrorismo sonoro, curato da Maurizio Bianchi. La traccia numero 2, che vede la partecipazione di Michele Caserta, ciclica e percussiva, nel suo “l’uomo finisce in protocollo”, ci riconsegna l’incubo ballardiano-orwelliano del nostro tempo, che fa il paio con la traccia numero 5, curata da Celery Price, rito cinematico tarkovskiano, filtrato da un Adi Newton rallentato e neo-ambient. La traccia numero 3, che vede all’opera Ge-Stell è una messa ipnotica elettro ritmata su un tappeto sonoro percussivo intarsiato da suoni e segnali sonori, che si intreccia con la 4, liquida, nebbiosa e onirica operazione sonora curata dall’ottimo Giovanni Leo Leonardi.
Il lettore, dopo l’intensa e materica traccia numero 8, si spegne, il ronzio, la voce, le parole risuonano ancora, il binario senza apparente meta dello Stalker di Tarkovskij ci spinge a riprendere il viaggio, per noi scabri viaggiatori non ci resta che proseguire, perché “il paradiso è all’ombra delle spade”.
Davide Gonzaga