GIANLUCA BECUZZI
"The Bunker Years [2006-2014]"
(ST.AN.DA., 2019)
Più entri nella Zona più ti avvicini al cielo, da Picnic sul ciglio della strada di Arkadij e Boris Strugackij.
Sperimentare l’ascolto di un lavoro dello sperimentatore Gianluca Becuzzi non deve apparire come un facile e banale esordio per interrogare la nuova uscita discografica del musicista toscano.
Becuzzi, dopo l’eccellente lavoro seminale con i Limbo, e i progetti successivi al suo abbandono dal gruppo, ha intrapreso un percorso di distillazione del suono, tra drone music, musica minimale e trance music in un continuo e fecondo confronto con la tradizione, seppur filtrata e stravolta (strepitosi i lavori con Massimo Olla).
L’ascoltatore, con la musica di Becuzzi, è chiamato a partecipare immergendosi completamente nella sua ricerca, come il fisico delle particelle che è consapevole egli stesso di essere parte dell’esperimento, così lui e l’ascoltatore sono complici e protagonisti dell’atto sonoro a cui si accingono. Questo atto sonoro richiede raccoglimento, richiede pazienza, richiede tempo e richiede spazio, ecco forse spiegato il titolo della raccolta che fa riferimento ai bunker, quelle fortificazioni militari che chiudono ermeticamente al male, alla distruzione, alle guerre. In un tempo come il nostro, attraversato dalla recente pandemia, le nostre case si erano trasformate in bunker, dove accogliere e separare dal resto del mondo paure e timori. Per Becuzzi, mi piace immaginare, il bunker non è questo, il bunker è uno spazio di libertà dal mondo che lo circonda, che egli sa di potersi costruire per andare più a fondo, per non dimenticare che solo cogliendo, ciascuno, il proprio selbst (secondo la definizione dello psichiatra svizzero Carl Gustav Jung), potremo tentare di cogliere il senso più vero del nostro esistere.
In questo disco, dal fascino unico ed impareggiabile, Becuzzi raccoglie alcune delle tracce più importanti uscite dal 2006 al 2014 e ce ne fa dono. Nella prima, The Rule Of Shadows, un imprecisato reietto pare esplorare il mondo di sotto e batte, ci si soffermi sul rimbombo che sentiamo, cercando una strada che lo conduca di fuori: siamo, accade di pensare, nei pressi di “Dark”, nella caverna del mistero della fortunata e imprescindibile serie TV tedesca. Con Requiem For J Baudrillard, poi, questa inquietudine pare giungere al suo culmine, tutto sembra fermo, il tempo, lo spazio sembrano scollarsi dal divenire. Con Until The End Of All, la traccia conclusiva, la più bella, a mio avviso, dell’intera raccolta, il viaggio sembra riprendere la marcia, il tempo che prima sembrava sospeso, sembra torni a scorrere, il suono è cupo e cosmico. Il tempo, enigmatico mistero che da sempre affascina e spaventa l’uomo, da Sant’Agostino a Werner Heisenberg, passando per l’enigmatico John Ellis McTaggart, in questo pezzo resta sospeso perché insolubile resta la risposta.
Per chiudere vi offro un esperimento: rintracciate una copia, se non l’avete procuratevela di Time Wind, capolavoro di Klaus Schulze del 1975, fatelo partire insieme ad Until The End Of All, ne rimarrete stupiti.
Buon viaggio sognatori cosmici.
Davide Gonzaga