THE DREAM SYNDICATE 
“The Universe Inside” 
(Anti, 2020)

C’era una volta negli anni ’80 del ‘900 localizzato in quel di Los Angeles il “paisley underground”, uno dei distintivi movimenti della scena rock americana, nella scia della gloriosa tradizione west-coast, con band di grande valore come Rain Parade, The Dream Syndicate, Three O’Clock, Bangles, Long Ryders e Green On Red (da Tucson, Arizona): gruppi che di quel frastagliato e poliedrico fenomeno revival esaltavano a seconda dei casi le componenti psichedeliche, garage, pop, folk e country aggiornandole ad una mutata sensibilità urbana ed esistenziale. Dopo un exploit notevole nei decenni successivi il paisley underground, le sue band più rappresentative e i loro leader hanno attraversato alterne vicende affievolendo il loro hype nelle cronache rock internazionali. Tuttavia alcuni seminali protagonisti di quei giorni non hanno mai smesso di suonare in giro per il mondo ed incidere: Chris Cacavas, Dan Stuart, David Roback, Steve Wynn, Sid Griffin, Stephen McCarthy. Il più attivo è stato ed è senza ombra di dubbio Steve Wynn (cantante, chitarrista e compositore, nella foto), anche attraverso una nutrita ed alta qualitativamente produzione solistica e vari progetti musicali (The Miracle 3).

Nel terzo millennio, nel 2012, Wynn dopo una lunghissima stasi temporale alita nuovamente il soffio creativo sulla sua defunta creatura The Dream Syndicate: nuovi ectoplasmi onirici si materializzano continuando (si supponeva) una tradizione psichedelica e rock visionaria che aveva prodotto capolavori ancora oggi pulsanti come S/T (1982), The Days Of Wine And Roses (1982), Medicine Show (1984), Live At Raji’s (1989), The Day Before Wine And Roses (live, 1982). In realtà i due nuovi lavori in studio incisi per l’Anti Records, quello della reunion How Did I Find Myself There? (2017) e These Times (2019), pubblicato poco tempo dopo la partecipazione della band a 3 X 4 tributo al paisley underground insieme ai Rain Parade, Three O’Clock e Bangles, poco si riallacciano alla vecchia produzione. I due album fanno emergere da un lato una nuova predilezione per un minimalismo compositivo di stampo kraut-rock e in generale più europeo, da un altro un amore (nella lunga title-track della reunion del 2017) per lunghe porzioni strumentali improntate a libertà improvvisativa.

È proprio questa seconda new direction ad esplodere in modo eclatante nel nuovo The Universe Inside, uscito sempre su Anti Records: una clamorosa inversione di tendenza rispetto al rigoroso e ben strutturato precedente These Times, uscito poco meno di un anno fa. Cinque lunghi o lunghissimi (The Regulator, 20:27) brani senza soluzione di continuità che nascono ognuno sulle ceneri e sugli ultimi sussulti del precedente, come in un ininterrotto stream of consciousness ispirativo, andando a comporre un unico mosaico sonoro di quasi un’ora. Gli sparuti interventi vocali di Steve Wynn alla fine assolvono una mera funzione di spartiacque tra generosissime sequenze strumentali. Il tutto strutturato in un nuovo aggiornato format del “sindacato del sogno”, che si avventura spesso e volentieri in territori improvvisati di stampo jazzistico.

Fondamentali l’apporto e le corpose performance del sassofonista e trombettista Marcus Tenney nelle sequenze strumentali più marcatamente di sapore fusion e jazz-rock, che si mixano ad un sempre sapido mood psichedelico e a ripetuti ipnotici bordoni kraut-rock. La line-up dell’album, che ha lavorato e suonato con Steve Wynn (anche armonicista) in questo affascinante e sorprendente lavoro in cui tutti i musicisti interagiscono ed improvvisano con grandissima energia, annovera i fedelissimi Dream Syndicate Mark Walton (bass guitar), Dennis Duck (batteria) e Jason Victor (chitarra). Alle tastiere Chris Cacavas, ex Green On Red, un altro ormai abituale collaboratore di Wynn. Ospite d’onore Stephen McCarthy, ex Long Ryders, che contribuisce all’amalgama sonoro sempre mutante e poliedrico con il sitar elettrico e la pedal steel guitar. Insomma, non è tempo per nostalgie, la congrega/cricca paisley dei bei tempi che furono è ancora con noi, è solo una creatura che ha cambiato (e sta cambiando) pelle.

Pasquale Boffoli

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Anti Records

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