THE THIRD MIND 
“S/T” 
(Yep Roc, 2020)

Il chitarrista, cantante e compositore losangelino Dave Alvin è noto alle cronache rock già da inizi anni ’80 dello scorso secolo per le sue gesta smaccatamente rock’n’roll roots con i Blasters (con il il fratello Phil Alvin) negli anni dello splendore massimo del punk californiano. Nei decenni successivi non ha mai smesso di distillare della più che ottima, sopraffina produzione concernente il genere “americana” attraverso un’intensa attività solistica e con formazioni collaterali (The Guilty Men, i Knitters con John Doe ed Exene Cervenka dei punkers X): un mix nutriente ed altamente vitaminico di rock’n’roll elettrico, blues, folk, country, swing jazz. L’americana di cui Alvin ha contribuito fattivamente a definire contenuti e lineamenti di genere; li ha ridisegnati inserendosi idealmente e generazionalmente in una tradizione/epopea artistica, in un DNA musicale ricco di prodromi illustri. Non pensiamo di sbagliare di molto connotando e accostando il suo nome cronologicamente – con un senno di poi postumo – dopo i nomi gloriosi di un’altra band e musicista/songwriter americani come Creedence Clearwater Revival e John Fogerty (il loro leader di sempre).

I loro contributi, pur se espletati con modalità molto diverse, tra XX e XXI secolo al recupero delle radici e alla creazione della suddetta epopea musicale a stelle e strisce appaiono in prospettiva giganteschi. Tra i più significativi lavori di Dave Alvin (tutti ugualmente pregevoli) si consigliano in particolare Romeo’s Escape (1987, Epic), King Of California (Hightone, 1994), Interstate City (Hightone, 1996, live con The Guilty Men), Blackjack David (Hightone, 1998), West Of The West (Yep Roc, 2006), Eleven Eleven (Yep Roc, 2011), fino al recente Downey To Lubbock (Yep Roc, 2018) inciso con l’anziano country-man Jimmie Dale Gilmore.

Con The Third Mind, album di debutto del suo nuovo omonimo progetto artistico Dave Alvin professa sì fedeltà all’etica stilistica forgiata attraverso una discografia mai svogliata, sempre appassionante, ma al contempo con spirito indomito si spinge in territori inesplorati, improntati soprattutto a una libertà improvvisativa strumentale di derivazione jazzistica, presente in modalità lapalissiana nelle due lunghe jam East/West (17:03) ed East West 2 (14:04) presenti solo nella versione promo del disco. Per questa nuova avventura Alvin si è avvalso dei contributi strumentali di alcuni valenti musicisti già conosciuti della scena internazionale: David Immegluck (chitarra, tastiere), Michael Jerome (batteria), Victor Krummenacher (chitarra basso), Jesse Sykes (voce, chitarra), Jack Rudy (harmonica). Alla fine essi non offuscano nella loro discrezione di interventi le velleità (motivate) di mattatore del chitarrista californiano.

Claudia Cardinale, singolare tributo di sapore western/sergioleone ad una delle attrici decane italiane più conosciute a livello internazionale, è l’unico originale del disco, firmato collegialmente, uno strumentale (troppo breve) impregnato di umori da soundtrack morriconiana in cui il nostro Dave ci ha ricordato molto il Santana più ispirato dei bei tempi che furono, ma anche la magica sei corde spaziale di Peter Green di Supernatural nei Bluesbreakers di John Mayall del classico album A Hard Road. Gli altri 5 episodi sono delle signore cover, suonate con incisività e professionalità sopraffine, tratte dalla grande e stagionata storia delle roots e del rock americani. L’incursione psichedelica mozzafiato di Journey In Satchidananda (Alice Coltrane) è 6 minuti sospesa in una dilatazione timbrica da brividi, stregata dalle tastiere venefiche di David Immegluck. Continua la full immersion nella tradizione cantautorale americana con una magica ripresa di The Dolphins, un celeberrimo classico anni ’60 di Fred Neil, a suo tempo immortalato anche da un’indimenticabile versione di Tim Buckley.

Il folk tanto caro a Dave Alvin è riproposto clamorosamente con i quasi 10 minuti dell’evergreen Morning Dew (Bonnie Dobson); anche in questo caso è inevitabile un tuffo della nostra memoria nel passato, con un almeno triplice (questa volta) avvitamento: memorabili le rivisitazioni che ne fecero nomi come Grateful Dead, i fratelli Duane e Greg Allman e Jeff Beck Group (with Rod Stewart). Ma anche il trattamento riservato qui dai Third Mind, impreziosito da una calda performance vocale della brava Jesse Sykes, a questo ultra-classico è degnissimo ed esaltante. A sorprendere è anche la decisione del collettivo di riproporre East/West, un vecchio tour de force anni ’60 della Butterfield Blues Band che incrociava un genere originalmente e tipicamente americano come il blues (Chicago blues urbano in questo caso) con sonorità e mood orientaleggianti: qui sono quasi 17 minuti ad espandere generosamente senza risparmio di energie un’idea compositiva di base non ortodossa. Alvin vi sfoggia l’ennesima e definitiva prova di maestria e solidità chitarristiche; a catturare senza scampo è anche la vibrante performance all’harmonica di Jack Rudy, dal fraseggio altrettanto funambolico di quello originale di Paul Butterfield.

Ci è sembrato invece un pò fuori il contesto generale del lavoro il secondo riferimento finale alle roots psichedeliche americane, una Reverberation tratta dal repertorio dei 13th Floor Elevators che suona più che altro come un doveroso omaggio al vecchio stregone lisergico Roky Erickson. Avremo modo di ascoltare un secondo capitolo di questo interessantissimo progetto di Dave Alvin? Lo speriamo davvero. Nel frattempo il primo lavoro dei Third Mind ci è parso una delle uscite più coinvolgenti e ricche di fascino di questo primo trimestre 2020.

Pasquale Boffoli

Yep Roc Records https: //yeproc.com/
The Third Mind https: //www.facebook.com/thethirdmindband/
Morning Dew https: //www.youtube.com/watch?v=sOzHXb-u92s