THE WHO 
“Who” 
(Polydor, 2019)

Finisce bene questo 2019, incredibilmente con un nuovo album in studio degli Who, sicuramente a questo punto la più longeva band della storica british invasion partorita dagli anni ’60, insieme ai Rolling Stones, in prospettiva due tra le più significative. Succede a ben tredici anni dall’ultimo buon lavoro del 2006, Endless Wire. Dopo il breakup della band siglato dal doppio live Who’s Last (1984), l’amara dipartita degli insostituibili batterista Keith Moon (1978) e bassista John Entwistle (2002), Pete Townshend (il vero deus-ex-machina, chitarrista, cantante e compositore) e il vocalist Roger Daltrey, i due membri superstiti, protagonisti da sempre delle gesta della mod band per eccellenza, sono diventati (al netto di qualche disputa di vario tipo indietro negli anni) anche i depositari fraterni, gelosi e zelanti di un’eredità musicale e culturale enorme, difficile da quantificare.

Sempre nel 2006 i due hanno lavorato insieme alla mini-opera Wire & Glass – Six Songs. In realtà alla fine la band non si è mai veramente sciolta, capitalizzando sin nei duemila il suo repertorio storico e le opere rock più famose con alcune pubblicazioni: Quadrophenia: Live In London (2014), Live At Hyde Park (2015), Tommy At The Royal Albert Hall (2017).

Ora (e in questo nuovo disco) al basso c’è Pino Palladino e alla batteria Zak Starkey, strumentisti ineccepibili, ma la mancanza di Entwistle e Moon si sente molto ed è sempre dolorosa. La collaborazione tra Townshend e Daltrey funziona comunque alla grande anche in questo nuovo sforzo creativo realizzato a età ormai inoltrata (Townshend è del ’45, Daltrey del ’44), intitolato semplicemente Who, con un collage di foto in copertina magicamente evocativo. Nulla di innovativo e nuovo intendiamoci in brani potenti e carichi di energia come All This Music Must Fade, Ball And Chain, Street Song, Hero Ground Zero, Rockin’ In Rage, ma era scontato e il disco si dipana splendidamente così: gli Who del 2019 ribadiscono (come doveva essere) orgogliosamente e con fierezza interpretativa a settant’anni passati il proprio vissuto artistico con cui hanno letteralmente scritto la storia del rock, quello con la R maiuscola.

Clamorosi echi da capolavori del passato quali Quadrophenia e Who’s Next, ed a essere ripescate addirittura le fiere radici mod rhythm & blues (Detour, sorta di novella Magic Bus). Townshend conferma il suo smisurato talento di songwriter anche in episodi dalla fascinosa apertura melodica (Street Song, Beads On One String, I Don’t Wanna Get Wise, She Rocked My World) nei quali si accompagna volentieri nei cori a Daltrey, che è ancora (o definitivamente) un signor lead vocalist, potente, maturo e dall’espressività sfaccettata, si ascolti il suo approccio anche da folksinger in Break The News.

Townshend non rinuncia ad interpretare da cantante solista la sorprendente ballata lenta (con tanto di armonica ed archi) I’ll Be Back più altri due brani nella versione deluxe del disco (tre episodi aggiunti nei quali val bene la pena addentrarsi nell’ascolto): l’avventurosa e appassionata This Gun Will Misfire e la bella folk song Danny And My Ponies, in cui purtroppo (nota davvero dolente) l’artista cede alla tentazione di “truccare” la voce con effetti deleteri, invalidando una song che sarebbe risultata alla fine molto più riuscita. Un peccatuccio che volendo si può perdonare all’artefice da sempre (e ancora nel 2019) dell’imperitura grandezza degli Who, un gigante del rock, certezza che non può che essere assolutamente rafforzata dalla lettura della sua corposissima autobiografia cartacea (quasi 500 pagine) “Who I Am”, uscita in Italia per Rizzoli/ControTempo nell’ottobre del 2013, nella traduzione di Tommaso Labranca.

Difficile se non impossibile prevedere se potrà esserci un nuovo disco in studio di inediti della band, ma in caso negativo anche così, con questo Who basta e avanza, non si sono certi risparmiati.

Pasquale Boffoli