NERO KANE + THREE BLIND MICE 
(Milano, 7 novembre 2019)

Una gelida notte infrasettimanale di pioggia incessante trasforma Milano in una vera e propria ghosttown buia, sinistra e semideserta: è l’atmosfera perfetta per la serata live double-feature che sta per iniziare poco prima della mezzanotte nello scantinato dello storico Spazio Ligera di Viale Padova, locale dall’anima punk, da sempre casa delle serate più underground e sperimentali della scena non solo musicale ma anche artistica e letteraria della metropoli. Il poster promette una “Ghost Town Spirits Night” con un velenoso mix di swamp, desert rock e cinematic noir music in compagnia di due firme milanesi molto apprezzate e rispettate sia in Italia che soprattutto all’estero: il poliedrico cantautore Nero Kane, con le ipnotiche e tormentate atmosfere folk rock dell’ultimo disco solista Love In A Dying World, accompagnato sul palco dalla vocalist e tastierista Samantha Stella, e la nota band Three Blind Mice, energico quartetto di urban cowboys swamp rock capitanato dal carismatico Manuele Scalia alla voce e chitarra solista, e legato sin dalla sua origine nel 2009 alla scena di Berlino. In comune, oltre ad un’ammirazione reciproca di lunga data, la capacità con il proprio sound di trasportare emotivamente il pubblico dentro un viaggio musicale connotato da una spiccata qualità “cinematografica” e, soprattutto, di evocare un immaginario molto preciso e specifico – quello del grande deserto americano, con tutto il suo fascino, il suo stratificato simbolismo e la sua illustre tradizione musicale – declinandolo in due modi tanto personali quanto complementari: in un intimista, arido e apocalittico folk in bianco e nero il primo, in un’esplosione di ruvido, sexy e corposo blues rock il secondo.

Apre l’evento la performance di Nero e Stella, particolarmente disinvolti e rilassati alla fine di un tour europeo che ha toccato anche Inghilterra e Germania, ha affiancato all’occasione artisti del calibro di Josef Van Wissem, ed ha raccolto un apprezzamento unanime, per quanto di nicchia, anche su MTV e Artribune grazie anche al progetto video – interamente diretto da Samantha Stella e girato nel deserto di Los Angeles – che ha accompagnato l’ultimo album traccia per traccia. Sembrano davvero lontani gli anni in cui al Ligera orde di scatenati fan pogavano al ritmo delle assordanti scrosciate garage dei Doggs, ex band giovanile di Nero che faceva sua la lezione di Iggy Pop & The Stooges (Red Sessions) per poi aprirsi a influenze blues-rock alla Lou Reed (Death Blues) fino ad avventurarsi in riuscitissime escursioni post New Wave (Lust Soul, il primo disco solista). Maturata negli anni l’abilità compositiva e liberatosi definitivamente dagli spettri dei propri idoli, Nero sembra giunto ad una sicurezza di sè come autore e performer tale da potersi finalmente permettere un’autenticità ed una vulnerabilità del tutto nuove, scegliendo forme più spoglie ed essenziali per cantare in poesia il mal de vivre, senza fronzoli o studiate attitudini “cool”. Il risultato è efficace e suggestivo: se nella breve intro Nero accarezza la chitarra in semplici arpeggi folk mentre la voce di Stella recita, in una sepolcrale “spoken word” stile Nico, brevi versi su un mondo morente e dannato, brani come Black Crows, I Put A Spell On You e Desert Soul, con i loro toni calanti, gli improvvisi pedali e i giri minimal di accordi in minore, tessono un mood ipnotico e onirico, un’atmosfera omogenea di malinconico spleen che strega e culla il pubblico come in un incantesimo voodoo. Nel tratteggiare con voce limpida semplici melodie la cui sofferta spiritualità sembra far proprie le lezioni di Tim Buckley, Nick Drake e Mark Laneghan, Nero prende il pubblico per mano in un mistico viaggio “on the road” in cui, brano dopo brano, evoca visioni di grandi spazi desolati, fra biblici tormenti, ricordi sbiaditi, dubbi esistenziali ed angeli caduti.

Si balla invece con i Three Blind Mice e il loro rock folk energico, pieno, corposo, melodico, molto americano, quasi “tarantiniano” nella sua vocazione da perfetta soundtrack di un viaggio coast to coast in una fiammante mustang cabrio del ’67. A 4 anni dalla pubblicazione dell’ultimo disco The Chosen One, prodotto a Berlino da Kristof Hahn degli Swans, la band di Scalia sembra sfoggiare l’entusiasmo e la disinvoltura di chi non suona più per dimostrare quanto vale bensì per il puro piacere di farlo, tanto da non provare neanche più a nascondere l’impatto che luminari come Johnny Cash, Crime And The City Solution e The Birthday Party hanno avuto sul proprio sound e il proprio immaginario. Ma per chi dovesse vederli per la prima volta sul palco, di primo acchito, sia per il sound che per il look, verrebbero soprattutto in mente quei Nick Cave And The Bad Seeds con cui i Three Blind Mice condividono il legame diretto e personale con un’icona punk come Lydia Lunch, artista di culto per la quale la band milanese ha aperto di recente numerosi concerti all’estero. Detto questo, il grande carisma e la consumata abilità di performer dei quattro rocker, e in particolare di Scalia da sempre cuore e anima della band, si nota non solo nella disinvoltura tecnica ma anche nella gestualità, nella presenza scenica e nella capacità di coinvolgere ed interagire col pubblico. Fra inflessioni calanti, improvvisi cambi di ritmo, e un’armonica a bocca che fa da ciliegina sulla torta, la scaletta alterna eleganti contaminazioni country-blues e folk-rock stile Leonard Cohen anni ’90, a brani di ampio respiro dove melodie di chitarra e intriganti assoli si prendono il loro tempo, risultando tanto protagonisti quanto le parti vocali: un esempio su tutti, l’ormai classica Knuckles (dall’album Early Morning Scum del 2012), che da canzone si trasforma presto in un vero e proprio racconto breve su una storia di violenza domestica, a metà tra i Doors di The End e una “Murder Ballad” dark country. Il concerto è come un tuffo nell’immaginario hard-boiled del polveroso deserto americano di frontiera fra cowboy, diners, pompe di petrolio e serpenti a sonagli: un sogno lucido vivido, familiare ma ancora misterioso, in cui è difficile non lasciarsi trascinare.

Livio Piantelli

Foto di Mark Frastuoni