NICK CAVE AND THE BAD SEEDS
“Ghosteen”
(Bad Seed LTD, 2019)
Se esiste una componente che non è mai scomparsa nella produzione artistica di Nick Cave, ma anzi l’ha resa sempre inconfondibile, quella è “l’intensità”, a prescindere dalle differenti singole fasi esistenziali ed espressive attraversate dal tormentato artista australiano. Connotati musicali sempre diversi, anche molto, ma ugualmente affascinanti, almeno per chi non intende e non ha mai inteso la musica come una sterile riproposizione degli stessi clichés: che ci si riferisca ai selvaggi ed anarchici Birthday Party, o ai primi album solisti più composti alla ricerca di un personale songwriting, al periodo di innamoramento e sublimazione del blues ancestrale dei padri americani, ai lavori esplorativi con gli ormai indispensabili Bad Seeds del modulo “ballata” nei suoi risvolti più intimistici e sofferti, alle numerose e severe colonne sonore scritte insieme al fedelissimo e geniale multistrumentista Warren Ellis, o ai nuovamente implacabili e crudeli Grinderman (dei Birthday Party versione terzo millennio), quella intensità interpretativa e compositiva che abbiamo stigmatizzato all’inizio non è mai venuta meno, anzi è stata implementata negli anni da una progressiva maturità di scrittore e autore di liriche.
Nel nuovo lavoro in studio Ghosteen, focalizzato come il precedente pur magnetico Skeleton Tree sui noti e luttuosi fatti che hanno sconvolto la vita di Cave negli ultimi anni, quella intensità raggiunge picchi che saranno difficilmente uguagliabili e/o superabili in futuro. Dopo averlo ascoltato appare ormai quasi pleonastico cercare di motivare ed argomentare la sublime qualità compositiva e l’estatico, toccante mood interpretativo raggiunti dal musicista in episodi come Bright Horses, Waiting For You, The Spinning Song, Leviathan, le lunghe title-track Ghosteen (12:11) e Hollywood (14:12), a fronte del talking isolazionista di Fireflies. Quasi 70 minuti divisi in due sezioni di differente impronta generazionale in cui a stupire è tra l’altro un uso inedito per Cave di un falsetto vocale disarmante a immortalare, quasi sublimandola con rassegnazione, la probabile estrema fragilità emotiva e psichica che possiede l’artista e l’uomo in questo segmento così particolare della sua esistenza. È poi la colonna sonora fornita dai Bad Seeds alle lunghe esternazioni poetiche di Cave a colpire anche l’ascoltatore di lungo corso è più disincantato: landscapes strumentali minimali e inquietanti che ormai hanno perso qualsiasi connotazione ritmica, lì a sposare una estetica definitivamente ambient profonda e sublime, nonché a precedere anche per quattro minuti la performance vocale di Cave, concettualizzandola in sussulti ansiogeni (Ghosteen). Sarebbe davvero un crimine mancare l’appuntamento con un capolavoro di intensità magnetica e (parrebbe) definitiva come Ghosteen.
Pasquale Boffoli