MAGUS EX MACHINA
Occultismo, neo-paganesimo e musiche rituali del tempo presente
Se è vero che ad ogni azione corrisponde una reazione, non c’è da stupirsi che nell’età della ragione, del progresso scientifico e del materialismo consumista, si sia frequentemente assistito all’insorgere del loro opposto. La riscoperta di una dimensione spirituale-cultualistica attraversa, non a caso, tutto “l’illuminato” ‘900, producendo accadimenti storici macroscopici come, ad esempio, il nazismo mistico (ovvero, la fede neo-pagana di Hitler e dei massimi vertici del Terzo Reich) analizzato da Louis Pauwels e Jaques Bergier nel loro avvincente saggio “Il Mattino Dei Maghi” del 1960. Anche la cultura popolare del secolo scorso non è rimasta per niente indifferente al fascino atavico dell’esoterismo, dei culti misterici e del loro immaginario iper-iconico, meno che mai lo è stata la musica: dalla leggenda del patto diabolico contratto dal bluesman Robert Johnson, all’ossessione di Jimmy Page per la figura di Aliester Crowley (l’occultista più celebrato in assoluto dalla pop music), fino alle citazioni di Georges Gurdjieff nascoste tra i versi delle canzoni di Franco Battiato, gli esempi si sprecano. Anzi, posto così, il tema è fin troppo vasto per essere esaurito in una breve trattazione come questa e quindi, andiamo subito a delimitare il nostro campo d’intervento.
Lasciamo da parte le “simpatie per il diavolo” sbandierate, a vari gradi di convinzione, da rocker di tutte le risme (da Stones e Sabbath agli attuali Blackster), vizietto che ha ridotto Lucifero ad uno dei clichès più logori della categoria, e accantoniamo anche, il pur interessante, aspetto etnografico che potremmo trovare in alcune collane di world music. Puntiamo invece lo spot su quell’angolo più in ombra nel quale, da alcuni decenni a questa parte, svariati artisti occidentali creano e fanno circolare musiche a fini dichiaratamente rituali, o comunque “iniziatici”; musiche che costituiscono un soggetto “altro”, tanto rispetto alle tradizioni folkloriche di paesi esotici, quanto a facili spettacolarizzazioni per ragazzini horror-addicted. Procedendo con questo taglio scopriremo che già nel 1968 Anton LaVey, fondatore della controversa “Church Of Satan”, aveva pubblicato The Satanic Mass, un album che contiene le registrazioni di una vera e propria messa nera con tanto di relative “canzoni, preghiere e danze”, come direbbe qualcun altro. Ma è solo ad inizio anni ’80 che il fenomeno inizia ad assumere maggiore rilievo. Dopo lo scioglimento dei Throbbing Gristle, Genesis P. Orridge e Peter Christopherson creano Psychic TV, che i due dichiarano essere non una semplice band, ma bensì una delle emanazioni del T.O.P.Y. (Temple Of Psychic Youth), una setta para-religiosa a tutti gli effetti da loro stessi fondata, assumendo a numi tutelari figure, tutt’altro che rassicuranti, come Charles Manson e Jim Jones. Il vero scopo “occulto” del T.O.P.Y., si scoprirà in seguito, era raggiungere il numero di adepti necessario per aver diritto a finanziamenti statali e sgravi fiscali (e solo per un soffio non ci riuscirono), ma questo poco importa, perché, per la seconda volta, i due fornirono un modello di riferimento che in molti, di lì a poco, seguirono.
Nel corso della prima metà degli ’80 il circuito post-industriale inizia a partorire ensamble che, già con la scelta del nome, dichiarano la loro vocazione per l’occultismo, solitamente mostrando una propensione per la magia crowleyana. I primi a manifestarsi sono, nel Regno Unito, 23 Skidoo, consigliato il loro Culling Is Coming (1983), Zos Kia, act ispirato al pittore e occultista Austin Osman Spare, e Current 93 del geniale David Tibet, indimenticabile la mefistofelica coppia di album datati 1984 Nature Unveiled e Dog Blood Rising, mentre negli USA sono gli Sleep Chamber, guidati da John Zewizz, a segnalarsi come officianti sonici della magia rossa. Inoltre, si posizionano a metà strada tra interesse scientifico-antropologico e ricerca psico-esoterica The Anti Group (Adi Newton) e The Hafler Trio (Andrew McKenzie). Non in tutti i casi citati, però, si tratta di musiche rituali in senso stretto, come invece accade certamente nel 12” dei Coil How To Destroy Angels (1984), un cerimoniale scandito da rintocchi metallici finalizzato, si legge nelle note di copertina, “all’accumulo di energia sessuale maschile”. Un capitolo a parte lo meriterebbe, per la dedizione alla causa, la tape-label austriaca Nekrophile Rekords, diretta da Michael DeWitt, con all’attivo otto pubblicazioni rilasciate tra 1983 e 1990, in seguito ristampate in CD da Staalplaat e associate. In catalogo i già citati Coil, Zos Kia e Sleep Chamber, ma anche: Zero Kama e Korpses Katatonik (progetti dello stesso DeWitt), papà P. Orridge in coppia con Stan Bingo, Metgumbnerbone, Hunting Lodge, ed anche i romani Ain Soph, colti nella fase ritualistica degli esordi, della quale oggi non recano più traccia. Della scena nazionale coeva vanno citati inoltre: Rosemay’s Baby, cellula italiana del T.O.P.Y., le prime produzioni su nastro dei Thelema di Massimo Stewart Mantovani, in seguito più rock-oriented, certe cose dei T.A.C. e i meno noti Capricorni Pneumatici. Anche se, ad onor del vero, in quegli anni, riferimenti più o meno espliciti all’esoterismo fiorivano un po’ ovunque nel sottobosco del post-industrial italiano e non. Dovendo riassumere e semplificare, potremmo dire che le musiche fin qui trattate, sotto il profilo sonoro, hanno solitamente in comune strutture ritmiche tribal-primitiviste e/o dilatazioni atmosferico-rumoriste che producono un mood cerimoniale estremamente scuro e minaccioso; una sorta di industrial music non più volta alla critica della contemporaneità, ma piuttosto alla riscoperta della memoria atavica sopita.
Quando nel 1990, Brian Williams, più noto come Lustmord, dopo un decennio di attività, giunge alla pubblicazione di Heresy, che in molti considerano il disco-manifesto della dark ambient, siamo ormai giunti ad un punto di svolta. Heresy contiene in se molti dei caratteri distintivi della musica esoterica (fields registrati in location ad “alto tasso psico-drammatico”, utilizzo di strumenti etno-rituali, paesaggi sonori cupamente ancestrali) e allo stesso tempo cristallizza in maniera esemplare una formula (alchemica?) che è già nell’aria, pronta ad esplodere e fare proselitismo, senza troppo interrogarsi sulle ragioni profonde delle proprie origini. Accade così che nel corso dei ’90 la dark ambient diventa un sottogenere molto frequentato del post industrial (e anche dell’ambient originaria) all’interno del quale le motivazioni che spinsero i ritualisti anni ’80 verso certe scelte è (non sempre ma) spesso ridotta a pura fascinazione estetica, un immaginario di superficie, anche dove, l’esito artistico si attesta comunque ad ottimi livelli qualitativi. Tanti, troppi i nomi da fare. Andando a memoria direi: In Slaughter Natives, Raison D’Etre, Deutsch Nepal, Aghast, Megaptera, Archon Satani, Inanna, White Stains, Troum, ma l’elenco è assai più lungo. Basta dare un’occhiata ai cataloghi dell’epoca di etichette come l’olandese Staalplaat, la Cold Meat Industry di Roger Karmanik, o del corrispettivo italiano, ovvero la Slaughter Production del compianto Marco Corbelli, per farsi rapidamente un quadro della situazione. Ricordiamo anche che, in quegli anni, Boyd Rice si presentava a talkshow televisivi in veste di satanista e a nome NON pubblicava un album dal titolo eloquente come God & Beast (1997). Inoltre, numerologia cabalistica e potere elementale sono tematiche ricorrenti nell’opera del noto percussionista-performer Z’ev. Aggiungo anche che, per evidenti motivi culturali, fu il nord Europa l’area a più alta diffusione di questa seconda tornata, la quale, fin da subito, non esitò a convogliare a nozze pagane con il coevo black metal, leggi alla voce Mz.412 et simila.
A balzare nuovamente “dentro al cerchio”, ricucendo un fil rouge con le esperienze degli ’80 che maniera, contaminazioni e amnesie avevano un po’ sfilacciato, ci hanno pensato, a partire dalla prima metà degli anni ’00, i tipi della Aural Hypnox. Etichetta finnica fondata da Anti Haapapuro, in seguito affiancato da Jaako Padatsu, Aural Hypnox fa capo ad un collettivo di artisti interessati alle pratiche rituali denominato Helixes Collective. Le varie sigle in catalogo sono in realtà il risultato della cooperazione di questo ristretto gruppo di individui: Arktau Eos, Halo Manash, Aural Holograms, Aeoga, Zoat Aon, Lingua Fungi, I.Corax, Templum N.R.. Tanto per chi li volesse vivere come percorso iniziatico, quanto per chi, più semplicemente, desiderasse godere di sonorità profonde e misteriose, questi nomi rappresentano un’opportunità della quale approfittare senza esitazioni. Ovviamente, nel panorama attuale, non mancano anche altri artisti di questo tipo. Lo svedese Thomas Ekelund, in arte Trepaneringsritualen, ad esempio, è noto per fondere movenze sacrali e rumore ferale in bassa fedeltà, mentre il russo Andrev Komarov, alias Vishudha Kali, tesse rochi mantra vocali accompagnati da rade percussioni. Vengono dalla Russia anche Phurpa, un gruppo di performer che, celati da veli neri, con cavernosi vocalizzi tantrici e antichi strumenti della tradizione tibetana, riescono ad evocare mondi remoti e suggestioni davvero uniche. Ma anche limitandomi a guardare poco più lontano dei miei piedi posso registrare alcune presenze artistiche degne di nota: Mirco Santoru, in gruppo come Hermetic Brotherhood Of Luxor e in solo come M.S. Miroslaw, si affida ad un teschio di cavalla trasformato in strumento a corde per trasporre in occult psychedelia i segreti della Sardegna arcaica. Svart1, abile artista audiovisivo, ha dedicato una trilogia al pantheon demoniaco di alcune culture extra-europee. Il penultimo album del duo Candor Chasma (Simon Balestrazzi e Corrado Altieri) è interamente incentrato sulla figura della teosofa Helena Blavatsky, e Gianluca Martucci, con la sigla Urna, si dedica a musiche ritualistiche ormai da quasi due decenni.
In fine, a ben pensarci, la generazione del suono intesa come atto magico e la sua conseguente organizzazione in rituale, la fede nel suo potere di rendere reale ciò che non possiamo vedere attraverso un processo di invocazione-evocazione, non è forse il primo modo con il quale l’uomo ha avvicinato l’universo musicale? Moderni eppure ancora primitivi. I suoni ci insegnano anche questo: tornare indietro è un modo per andare avanti.
Gianluca Becuzzi