L’ULTIMA DOGANA
La penetrazione delle musiche d'avanguardia nel contesto popolare contemporaneo
(Prima parte)
“Le Vacanze Intelligenti”, ve lo ricorderete, è l’episodio diretto e interpretato da Alberto Sordi del film “Dove Vai In Vacanza?” (1978), nel quale vengono narrate le disavventure dei coniugi Remo e Augusta Proietti (Alberto Sordi e Anna Longhi), due veraci e sprovveduti popolani romani, ai quali i figli acculturati organizzano le vacanze estive all’insegna di un inadeguato tour de force artistico-culturale. In una scena i due poverini si trovano a dover assistere, loro malgrado, ad un concerto di musica contemporanea, che li coglie, come prevedibile, totalmente impreparati e dal quale usciranno traumaticamente sconcertati. In questa occasione è la musica d’avanguardia il bersaglio della consueta satira di costume sordiana, una forma d’arte rappresentata come astrusa fino al grottesco, tanto che lo spettatore è portato a comprendere e simpatizzare per la candida ignoranza dei due protagonisti. E probabilmente Sordi, spiace dirlo, non si baglia …. Nell’Italia di fine anni ’70, quello era precisamente il modo nel quale la gente comune percepiva le avanguardie musicali e non: una posa snob, incomprensibile e criptica essenzialmente perchè, in fin dei conti, vuota e priva di senso.
Verosimilmente, i corrispettivi contemporanei di Remo e Augusta la penseranno ancora alla stessa maniera, credo, ciò nonostante non si può però negare che dagli anni ’70 ad oggi molte cose sono cambiate nel comune sentire rispetto a certe forme d’arte. Per averne contezza basta partecipare ad uno dei tanti eventi presentati come avant/sperimentale/di ricerca (solo di nome o anche di fatto non è importante ai fini del nostro ragionamento) per osservare che la platea non è più composta da attempate signore borghesi in pelliccia accompagnate a distinti signori in smoking (come rappresentato da Sordi), ma piuttosto da un pubblico vario ed etereogeneo per anagrafe e ceto sociale, all’interno del quale, se proprio deve prevalere una tipologia, spiccano barba-occhiali hipster, per lui e look da studentessa di lettere moderne, per lei. Cosa è dunque successo negli ultimi quarant’anni? Che cosa è intervenuto a mutare lo scenario? Rispondere a questa domanda non è semplice perchè il processo è stato lungo, graduale ed ha agito su più fronti, ma un tentativo voglio comunque farlo.
Le avanguardie storiche degli anni ’40/’50 avevano iniziato ad abbandonare l’isolamento delle loro torri d’avorio già negli anni ’60, ma non in forma diretta, l’avvicinamento alle masse era avvenuto a mezzo di una sorta di delega. In principio, infatti, le idee radicalmente innovative della musique concrete di Pierre Schaeffer e della elektronische muzik di Karlheinz Stockhausen erano state rielaborate da alcuni compositori ed adattate a colonne sonore cinematografiche e a sigle radiofoniche/televisive. A titolo d’esempio si potrebbe citare il lavoro svolto per la BBC inglese da Daphne Oram e Delia Derbyshire, quest’ultima autrice della celeberrima sigla della serie “Doctor Who”. Mentre, in campo cinematografico, si deve a Louis e Bebe Barron la realizzazione, nel 1956, della prima colonna sonora integralmente elettronica per il classico di fantascienza “Forbidden Plant”, formula affermatasi nel decennio successivo come standard del genere. Risale ai ’60 anche la moda degli LP di “futuristici” effetti sonori, ma bisognerà attendere fino al 1967 per la pubblicazione della prima composizione elettronica vera e propria specificamente commisionata da una casa discografica: lo storico Silver Apples Of The Moon di Morton Subotnick. Pure le band pop di quegli anni subiscono il fascino delle nuove tecnologie, inizialmente utilizzandole solo come “coloritura ad effetto” (vedi l’impiego che i Beach Boys fanno del Theremin in Good Vibrations) e poi, gradualmente, in modalità sempre più organica e consapevole.
Quando, nel 1968, i Beatles inserirono Revolution 9 nella tracklist del White Album, utilizzando la metodologia taglia-incolla della tape music ideata dieci anni prima da John Cage per brani come Fontana Mix, tutto intorno era già esplosa la psichedelia, con personaggi di spicco come Pink Floyd, che non disdegnavano la frequentazione dei corsi tenuti da Stockhausen a Darmstadt, e sopratutto era in arrivo il contingente krautrock: Kraftwerk, Can, Neu, Faust, Kluster e Cluster. Come dire che, mentre la pop music scopre l’avanguardia, l’avanguardia stessa è già ripiegata nella fase del suo post con l’elettroacustica, l’improvvisazione radicale e la reazione neotonale del minimalismo americano. Come sappiamo, la storia spesso procede a velocità differenziate, così accade anche che mentre uno pianta il seme l’altro mangia il frutto. Saltando volentieri la prima metà dei ’70, il prog rock e le tronfie muraglie di synth modulari di Keith Emerson e compagnia brutta, si arriva d’un balzo all’età del post punk. Sul finire dei ’70 l’industrial di Throbbing Gristle & Co. ricicla, più o meno coscientemente, tecniche e metodologie avant per metterle al servizio di shock tactics a base di rumore ferale e visioni apocalittiche, mentre, al contrario, il synth pop (o minimal synth) di Human League, Depeche Mode, John Foxx, Soft Cell e molti altri, assimilata la lezione dei Kraftwerk, confeziona hit da classifica con il solo ausilio di voce, sintetizzatori e drum machine, mostrando così come le nuove tecnologie possano essere impiegate con successo anche per far cassa. Sempre alla fine dei ’70, con la formulazione dell’ambient music, emerge definitivamente la figura di Brian Eno, probabilmente l’artista nato in seno alla pop music che, più di altri, ha mostrato di essere capace di ragionare nei termini di un compositore d’avanguardia a tutti gli effetti.
Come sempre accade, prima ancora del gusto popolare o delle strategie dell’industria discografica, anche qui, è l’economia a dettare le regole del gioco. Non è un caso che il boom della musica elettronica corrisponda alla produzione in larga scala di strumenti elettronici che, potenziati nelle funzioni e ridotti in ingombro fisico e costi, sono ormai alla portata di tutti, diversamente da quanto era accaduto nel recente passato. Così, se un tempo era solo l’elite della musica cosiddetta “colta” ad aver accesso alle costose apparecchiature musicali in dotazione a stazioni radiofoniche nazionali, centri di ricerca universitari e studi sonologici, già nei primi anni ’80, con l’avvento del Midi (un ben noto standard di sincronizzazione macchina-macchina), chiunque poteva allestire un piccolo studio di registrazione in casa a costi tutto sommato sostenibili. Un trend inarrestabile questo che parte in quegli anni per arrivare fino ai giorni nostri con le tecnologie digitali, la musica liquida e i virtual instrument, software musicali scaricabili gratuitamente dal web su computer, tablet o altri dispositivi portatili. La bedroom music nasce così, sia che si tratti della techno di Detroit di fine anni ’80, con strumenti analogici di seconda mano, che della laptop music di dieci anni dopo, con la sua estetica ultraminimale da nerd 100% digitale.
Nonostante l’estrema sintesi di questo breve resoconto, credo che, giunti a questo punto, sia piuttosto chiaro come e quanto la penetrazione di certe idee delle avanguardie storiche nel corpo molle della cultura popolare sia avvenuto con estrema gradualità ed attraverso un tracciato tutt’altro che lineare. Un fenomeno sottoposto 1000 mimesi tanto da creare ancora oggi fraintendimenti a non finire, ponendo quesiti spesso difficili da risolvere in poche battute. Per chiudere il cerchio ricordiamo che nell’Italia di fine anni ’70, la stessa della parodia di Sordi citata in apertura, poco o niente si sapeva della maggior parte dei compositori contemporanei, eccetto forse i due “pesi massimi” John Cage e Karlheinz Stockhausen, anch’essi, sospetto, noti più di nome che di fatto. Le opere di questi artisti finiva su collane marginali e mal distribuite di etichette che trattavano musica classica, o su piccole label indipendenti (da noi Cramps e ADN). Inoltre, contribuiva a render la situazione ancora più carbonara il fatto che i mensili musicali non si occupavano in alcun modo di produzioni avant, se non sporadicamente, magari in riferimento a qualche minimalista statunitense come Philip Glass, giusto perchè flirtava con il pop e risultava meno ostico all’ascolto. Sembra di parlare del remoto medioevo eppure era solo (si fa per dire) quarant’anni fa. Come con il passaggio di millennio si sia sdoganato le avanguardie musicali in ogni loro forma, passando dal semi-oscurantismo al rischio di banalizzazione, ve lo racconto al prossimo appuntamento. Avant(i) Pop(olo)!
Gianluca Becuzzi