MATTEO TUNDO
"Zero Brane"
(Aut, 2016)
Il chitarrista Matteo Tundo, ancorché giovanissimo, dimostra in questo suo primo lavoro, pubblicato a fine 2015 per la berlinese Aut Records, una conoscenza e un approccio alla sua (anti)materia musicale di cui tratta l’album davvero notevole e di riguardo. Nel comporre Zero Brane e approdare alla sua “realtà senza dimensioni” l’autore si è basato, come lui stesso tiene ad informarci, su alcuni concetti di fisica e più miratamente allo studio della “teoria delle stringhe”, in un percorso artistico di circa tre anni.
L’album esplora vari registri compositivi, si spinge in diversi territori, dall’elettronica al free jazz tout court, come accade più compiutamente in Owls And Mistakes. Si apre con la crimsoniana Moonog, prosegue con l’affascinante e oscura elettronica, senza concessioni, del pezzo che da il titolo all’album tra echi del Davis dei ’70 più irriverente e ascetico, Idea, e sprazzi e tratti di avanguardia pura dal titolo inequivocabile, Symmetries Of The Universe. Nei trequartidora dell’album Matteo Tundo, accompagnato da Emanuele Parrini (viola, violino), Piero Bon (sax alto, clarinetto), Simone Graziano (fender rhodes), Matteo Giglioni (batteria) e Alessio Riccio (elettronica) allestisce, frame by frame, un corpo elettrico per nulla marginale, generato da un magma sonoro gestito nei suoi passaggi/paesaggi fatti di sinergie “concettuali”. Metodico ma al tempo stesso poco schematico, dando rilievo e risalto più a violino e sax che al suo strumento d’appartenenza che approderà a quella Antimateria, che rappresenta, anche ideologicamente, l’epilogo e la chiave di lettura dell’intera filosofia tundiana.
Zero Brane è sicuramente tra i risultati più concreti della odierna scena progressive/sperimentale italiana, con un orecchio rivolto ai frutti migliori dell’avanguardia compositiva europea degli anni ’70. Sarà interessante vedere come evolverà nel futuro lo stato artistico/compositivo della sua musica e soprattutto come sarà capace di investire il suo patrimonio creativo, sperando che non rimanga incastrato in certi “vizi” e cliché, ma si tratta di un pericolo nel quale il musicista potentino non credo corra il rischio di imbattersi, data l’intelligenza e l’acume dimostrati in questo suo primo ottimo concept album. Consigliato a tutti coloro che ancora serbano in animo e soffiano sul fuoco sacro dell’improvvisazione jazz free form.
Giuliano Manzo