HALF JAPANESE
"Perfect"
(Joyful Noise Recordings, 2016)
Suo fratello David se n’è andato sbattendo la porta già da tempo, ma le “pazzie” orchestrate e catturate dai lontani ’70 ai nostri giorni, fanno di Jad Fair, e del logo Half Japanese, un “Black & Decker” variegato da stimmate estetiche, laide e melodicamente stringenti. Perfect è la nuova esplosione distorta della band, il “bailamme” elettrico e mansueto che si ripete e che interessò anche Kurt Cobain e il cosmo grunge nella sua interezza caotica.
Un disco che strappa, mastica e ingoia di tutto, dal pop di You And I, al blues sbilenco e punk di That Is That, Man Without A Scado, alle stramberie rumoristiche di Perfect, alle chitarre scordatissime di We’ll Go Far fino ad arrivare ai cantati stralunati di In Your Spell. Senza tanti panegirici un disco dalle traiettorie perfette nell’imperfezione, lussuria storta e tossica che batte forte sul tasto del piacere d’ascolto.
Ben tredici tracce a fare da volume (in tutti i sensi) ad un’ingordigia per palati svezzati, il punto di incontro per incalliti “aficionados” di una filosofia artistica e di vita nella quale la formazione ha sempre elevato la propria verve dadaista, e a dire il vero, tra pregi e difetti, non ha mai smentito la propria volontà di “esistere di traverso”, rinnegando la conquista della posizione eretta. Sigla il tutto la ballata fumosa di That’s Called Love, che tira la lampo su di un lavoro diabolicamente “perso” tra assurdo e straordinario.
Max Sannella