FRANCO BAGGIANI
"Divergent Directions"
(Sound, 2015)
Prosegue a ritmo costante l’esplorazione in ambito jazz del maestro Franco Baggiani, brillante veterano della scena nostrana. Trombettista, insegnante, compositore, direttore d’orchestra toscano (nato a Pelago, paese di quasi ottomila anime dell’hinterland fiorentino) classe 1961, una fertile carriera discografica, costellata tra l’altro, da importanti collaborazioni con musicisti come Ares Tavolazzi, Steve Lacy, Antonello Salis, Micheal Moore, Paolo Fresu e Stefano Bollani, ci offre in pasto la quattordicesima release a suo nome, il cui titolo Divergent Directions (Direzioni Divergenti) sembra svelare metaforicamente e velatamente la formula sonora sulla quale è incentrata l’essenza di questo nuovo full lenght in rapporto al precedente Memories Of Always (da me recensito nei mesi scorsi). Permane il “pattern” jam session style dell’improvvisazione in studio, brevettato “marchio di fabbrica” di Baggiani & co., ma qui l’opera da lui “disegnata” e condotta, prende vita sviluppata da un ensemble numericamente più esiguo rispetto al passato. Il nostro è affiancato da Michele Staino (basso), Giacomo Downie (sax baritono), Alberto Rosadini (batteria) e Fabio Ferrini (percussioni), con gli ultimi tre componenti già presenti nell’album sopracitato: “Sono tornato con un quintetto che rievoca i quartetti di Ornette Coleman, il trio Air, gli Art Ensemble. Quando manca lo strumento armonico come il pianoforte automaticamente il sound assume dei colori particolari, curo molto la strumentazione in funzione del risultato finale, che in questo caso è molto più asciutto e leggibile rispetto al mio disco precedente. L’effetto “giungla” resta, ma il suono si sposta verso un idioma più vicino al mix fra free jazz storico e musica contemporanea del ‘900″.
Un intrigante artwork di copertina vagamente “noir” è la legittima porta di accesso all’articolata e introspettiva cupezza che ammanta i quasi sessantuno minuti di Divergent Directions, incisi in presa diretta, senza nessun intervento in sala di registrazione, in seguito sono stati effettuati dei “cut” selettivi da Baggiani, sui cento minuti di registrazione complessivi, estrapolandone il contenuto presente nel compact. Oltre al piano (già “desaparecido” in Memories Of Always) non sono presenti chitarre; la ritmica funky tipica del Miles Davis “elettrico”, caratteristica peculiare delle digressioni sonore nell’album datato 2014, lascia campo (eccetto che nell’intro di Past Vs Future) a nove composizioni autorevolmente proiettate verso un free jazz tribale e avanguardistico dalle sfumature seriali e connotazioni “black power”.
Dai due minuti e mezzo di Ida Y Vuelta, agli oltre dodici di Una Serie Per Tutti, fino ai quasi dieci di Requiem, epilogo del disco, quest’avviluppato tracciato sonoro ipnotico e verista, non potrà che suscitare consensi tra gli appassionati del genere.
Luciano De Crescenzo