POP IS PORN
Una riflessione sui destini indissolubilmente incrociati della pop music e della pornografia contemporanea

Cosey Fanni Tutti 1
Cosey Fanni Tutti

Spesso pallidi ed emaciati, sempre con quell’aria un po’ assente di chi sa di avere raramente l’opportunità di aprirsi agli altri per condividere le proprie passioni più intime. Potevamo accorgercene fin da subito che gli appassionati delle frange più estreme della musica pop e i pornografi mostrano tratti tra loro pressoché identici. Oppure, avremmo dovuto osservare che la storia del pop, dal pelvis di Elvis, alle performance-scandalo di Genesis P. Orridge e Cosey Fanni Tutti, fino al torbido power electronics di casa Freak Animal, è percorso ininterrottamente da un brivido erotico irrefrenabile.

E invece no, abbiamo sottovalutato tutti gli indizi a nostra disposizione e solo oggi, di fronte all’evidenza dei fatti, dobbiamo riconoscere che la pop music e la pornografia sono sempre state tra loro più prossime di quanto non fossimo mai stati disposti ad ammettere. Come spesso accade, siamo dovuti cadere in ginocchio per alzare gli occhi al cielo e scorgere le nuvole sopra la nostra testa. La crisi e il web ci hanno aperto gli occhi su quanto volteggiava da sempre nell’aria: il pop è porno e il porno è pop.

Ormai è lapalissiano, l’avvento del web sembra aver unito in un comune e sfortunato destino la musica pop e la pornografia. Nessun settore dell’editoria tradizionale ha visto ridurre il proprio mercato, con tutto l’indotto correlato, dall’offerta debordante della rete, tanto quanto queste due categorie. Internet ha attratto subdolamente nella propria tela tanto il fan musicale quanto il pornografo, li ha fatti prigionieri e con promesse indecenti li ha resi complici e collaboranti, così che nessuno ne uscirà più vivo. Il singolo click che consente di transitare da youtube a youporn, lo streaming e il free download offerto da innumerevoli piattaforme tematiche, inducono l’utente a ritenere ormai assodato che suoni e orge di carne debbano essere elargiti gratuitamente a tutti gli internauti del pianeta terra.

Saltare da una piattaforma all’altra è facile, immediato e non costa niente. Inoltre, tutto è ben organizzato per tag, in modo da orientare e soddisfare i gusti musicali ed erotici di chiunque: rock, mainstream, black, dance, indie, ambient, metal, experimental, da una parte, straight, gay, shemale, blow job, anal, gang bang, mature, teen e via elencando, dall’altra. Ed è evidente che, a fronte dell’offerta a costo zero disponibile in rete, l’industria di settore arretra entrando in una crisi profonda e verosimilmente senza via d’uscita. La smaterializzazione della merce musicale e pornografica, attraverso la liquefazione orizzontalista del web, fa terra bruciata delle regole sulle quali i mercati tradizionali avevano da sempre fatto perno, indebolendoli, prima, e finendoli con colpo di grazia alla tempia, poi.

Jim Morrison
Jim Morrison

Dove indietreggiano mercato e professionismo ad avanzare inesorabilmente è sempre l’amatoriale. E allora capita che, tra chi pubblica certi album su bandcamp e chi mette le imprese erotiche della propria moglie su pornhub, venga da chiedersi, fuori da inutili moralismi, chi dei due abbia meno senso del pudore. Autoreferenzialità, attitudine onanista e smania esibizionista sono i tratti comuni di coloro che ballano sulle macerie fumanti di mondi espropriati. E non c’è nessun filtro, nessuna selezione meritoria o qualitativa che possa arrestare questa danza forsennata, dal momento che si tratta di atti privati deliberatamente amplificati a mezzo di una cassa di risonanza mediatica planetaria.

Non è infatti un caso se al decremento dell’industria della musica e del porno ha corrisposto un sensibile incremento delle pratiche legate al do-it-yourself domestico. Già dagli anni ’80, il porno gonzo, da una parte, e il punk o l’industrial, dall’altra, ci avevano mostrato come l’estetica povera e rudimentale dell’home-made low budget possa avere un suo ruvido potere persuasivo. Una fascinazione strisciante che basa la propria forza sulla noia indotta tanto dalle produzioni sonore fin troppo pettinate-educate e dunque prevedibili-stucchevoli, quanto dagli artifici perfezionistici del silicone o dai rigidi clichet del professionismo pornografico, alla lunga poco eccitanti.

Bisogna riconoscere che la tensione realistica del “brutto e bruto perché così è” crea una nuova categoria estetica che, se al bello non può afferire, con la seduzione della prossimità e con l’immedesimazione ha sicuramente molto a che fare. Si tratta del magico effetto “posso farlo anch’io” dal quale chiunque sembra fatalmente calamitato. Dunque, è la spinta mediatica al presenzialismo-protagonismo a tutti i costi, il modello reality televisivo, per capirci, unito alla facilità d’accesso ai mezzi tecnologici, che, sinergeticamente, concorrono a configurare il caratte d’ineluttabilità al fenomeno. Registrare in cameretta le proprie canzoncine, più o meno squinternate e/o filmare la gola profonda della fidanzata di turno, più o meno avvenente, per poi riversare, sulle rispettive piattaforme tematiche, il tutto in rete, rappresentano, in fin dei conti, due facce della stessa medaglia. Tutti musicisti, tutti pornostar, evviva!

John Holmes
John Holmes

Appaiono lontani i tempi nei quali per ascendere all’olimpo della pop music, o del porno, per eternarsi in leggenda e trasformarsi in santino dello star system, era necessario morire giovane. John Holmes come Jim Morrison, Moana Pozzi come Janis Joplin. E anche se personalmente simpatizzo per il buon Rocco che, ne son certo, invecchierà a suon di robuste razioni di patatina, è evidente a chiunque che il fascino del giovane martire con il microfono, o quello che è, in pugno, sembra un modello non più ripetibile. Difficile immaginare che un nerd da laptop music o una casalinga bresciana, per quanto, ognuno alla propria maniera, indiavolati, possano emergere dalla moltitudine della quale sono parte. Il web “orizzontalizza” in tutti i sensi, bisogna prenderne atto.

Tramontati i miti dell’età d’oro, lo schermo del PC si popola di una folla oceanica, indistinguibile nelle sue singole componenti individuali. L’estetica musicale e pornografica che emerge da questo quadro ha più di un tratto in comune. La produzione “dal basso” viene chiamata underground in riferimento al mondo dei suoni e amateur in riferimento a quello del sesso, ma motivazioni, finalità e sostanza non sono tra loro troppo dissimili. Il lo-fi, la bassa fedeltà della registrazione, i suoni sporchi o il noise ferale, da una parte; i set casalinghi approssimativi, i corpi tutt’altro che perfetti, la fotografia a macro-pixel o i dettagli desolanti, dall’altra, condividono lo stesso ambito estetico dello spontaneismo brutista, del quotidiano elevato ad autorappresentazione e del grado minimo in termini di organizzazione strutturale.

Sul fronte di questa guerra impari tra editoria tradizionale e web, che vede come oggetti di contesa la pop music e la pornografia, i primi a cadere sono stati, prevedibilmente i più piccoli, cioè i rivenditori al dettaglio. Negli ultimi anni si è assistito ad un’ecatombe di negozi di dischi ed edicole specializzate in pornografia, ma anche, import-export musicali, pornoteche e cinema a luci rosse. Presto parleremo di loro come di specie estinte al pari del Dodo australiano? Saremo costretti a considerarli nostalgicamente come luoghi perduti della memoria? Elementi urbani soppressi perché considerati ormai obsoleti quanto i vespasiani?

Sasha Grey
Sasha Grey

Inevitabilmente, dove l’oggetto merciologicamente centrale sia del marketing musicale (il disco), che di quello pornografico (il film), viene svalutato dall’offerta a costo zero della rete, ai mercati non resta altro che cercare fonti alternative di profitto. Sottoposto a sfratto coatto, il commercio migra dal centro alla periferia, concentrando la propria attenzione sull’accessorio. I negozi di dischi si svuotano di vinili e CD per riempirsi di magliette stampate delle band/artisti e relativi gadget, così come, analogamente, nei porno shop si riducono i reparti DVD per far spazio a tutta l’oggettistica del caso, la quale, a onor del vero, c’è sempre stata e ha sempre fruttato bene. Inoltre, chiudono i cinema a luci rosse, le pornicole, i grossisti e franano le vendite dei periodici di entrambi i settori. Insomma, i numeri di punta dello show biz si trasferiscono in massa dal reale al virtuale.

Di più, anche in rete, negli stessi siti dove si offre gratuitamente musica, appaiono inserzioni pubblicitarie di merchandising assortito e improbabile: la tazza da caffè di Burzum, la bandiera dei Queen e la fascetta asciugasudore dei Dire Straits. Su quelle pornografiche, invece, campeggiano banner pubblicitari di sistemi miracolosi per accrescere la propria dotazione virile, vulve di gomma, dildo e costumini sexy a-go-go. C’è poco da fare e poco da dire, quando ad essere incoronato imperatore è il barboncino dell’imperatore stesso, per l’impero è scoccata l’ora del tramonto.

Per concludere, la possibile icona terminale, a coronamento di questa riflessione generale, potrebbe materializzarsi in una cartolina con stampata l’immagine di Miss Sasha Grey che cavalca, come sa far lei, quei due mondi attraverso i quali ha transitato con estrema disinvoltura. Perché Sasha, con tutta quella malizia che le luccica negli occhi neri, forse, ha sempre saputo tutto.

Gianluca Becuzzi