UZEDA
(Avellino, 30 maggio 2015)
Correva l’anno 1987. Di lì a poco sarebbe caduto il muro di Berlino, una data fondamentale per la storia contemporanea, ma anche per la musica. L’Europa, tutta, ancora si leccava le ferite, sognando un futuro migliore. I popoli dell’est subirono l’invasione (ancora!) delle produzioni sonore occidentali. La Germania, a sua insaputa (oppure no …), si apprestava a diventare la patria della musica elettronica. Gli amici inglesi, ancora intorpiditi dalla “Falklands War”, manifestavano contro le politiche della Lady di ferro. Il Punk stava morendo; il Red Wedge, con la sua vena polemica, ci avrebbe regalato pagine importanti nella storia della musica. Oltre oceano, l’istinto capitalista imponeva i suoi canoni di vita, martoriando i più vulnerabili: terreno fertile per il Seattle sound. L’Italia, come troppo spesso accade, non era pronta per un certo tipo di frastuono. Correva l’anno 1987, eppure qualcosa incominciava a muoversi. Non dalla capitale, non dalla “città che sale”, ma dal profondo, e tanto bistrattato, sud. La città è Catania, il punto d’incontro è “Porta Uzeda”, il comune denominatore è l’Etna.
Sto parlando, appunto, degli Uzeda. Così avanti per l’epoca, da essere più famosi oltre i confini nostrani. Così avanti, da essere invitati ad una session da John Peel in persona. Gli “esperti”, quelli bravi, catalogano la musica dei nostri sotto le etichette “math rock” e “noise rock”. Accedo al loro sito web, apro la bio e leggo: “Rock … senza limiti e senza tempo”. Scorro il testo e mi imbatto in un passaggio in cui il flusso sonoro delle loro composizioni viene paragonato a quello ardente della lava. Sinceramente, mi piacciono di più le ultime due definizioni. Ho provato questa lava ardente lo scorso 31 maggio, nel solito Godot Art Bistrot di Avellino. Il locale ci ha già abituato a diversi, piccoli, miracoli. Ma questo è grande, molto grande. Un’ora, forse poco più, di puro rumore, ma non quello fastidioso tipico della frenesia ordinaria. Quel rumore disordinato che spinge il corpo oltre i suoi limiti, che ti trascina in una assurda danza, ipnotica. Non avevo mai assistito ad uno spettacolo simile. Mai. È stato un flusso di coscienza, uno “scorrere” degno dei migliori filosofi. Un picco inconcepibile di emozioni. La discografia degli Uzeda non è molto nutrita. Sei album all’attivo, di cui l’ultimo, Stella, è targato 2006. E proprio da quest’ultimo proviene il grosso della scaletta. Onestamente (e di questi tempi è molto difficile esserlo), lo spettacolo, più che descritto, andava vissuto. Ringrazio gli Uzeda per tutto ciò che hanno rappresentato, che rappresentano e che rappresenteranno per la musica “made in Italy”, quella fetta di Italy che merita un certo tipo di musica. Ringrazio Luca, per questo fantastico concerto. Ringrazio voi e mi scuso per non essere stato, forse, molto esaustivo, in questo che tutto è stato, fuorché un vero live report. Ah! Quasi dimenticavo: aspettiamoci una nuova produzione firmata Uzeda. A presto!
Gerry D’Amato