ARCANE OF SOULS
"Cenerè"
(Autoprodotto, 2015)
Era da un pezzo che non si sentiva un autore come il nostro, dal profondo sud calabrese, ed è chiaro che il metro di paragone con Rino Gaetano, che può sembrare esagerato, ascoltando per bene questo secondo album di Arcane Of Souls, aka Alfonso Surace, può starci e calzare. Dagli anni dell’autore di Gianna sembra passato un secolo, l’Italietta, che tanto si prestava allo sberleffo dell’ottimo Gaetano, è cambiata, magari in peggio e non solo politicamente, ma anche musicalmente parlando. Promosso e supportato dalla benemerita Macramè, Cenerè è un disco homemade, tutta “farina di Surace” (sembra uno slogan pubblicitario) che si ripresenta, a tre anni dal precedente lavoro, più “vivo e vegeto” che mai e scrive musica e testi per nove episodi dal mood seventies, ma quarant’anni dopo. Un caleidoscopio musicale con dentro un po’ di tutto, in modo quasi mai oltraggioso, dal blues al rock quasi hard ad echi di psichedelica beatlesiana in chiave lo-fi 2015, con una resa sonora davvero notevole, grazie soprattutto alla band alle spalle del nostro. Un po’ come il maestro Dylan, Surace ha saputo infatti scegliersi validi musicisti di supporto, quali, tra gli altri, Rossano Fecula alle chitarre, Falcone Ussaro alla voce e ogni sorta di percussioni e Fauno Lagrosse ai synth e alla lap steel, ma l’album contempla anche strumenti a fiato e violini. Il boogie scanzonato e al vetriolo di L’oro In Bocca apre il discorso, chiuso dopo una mezz’ora piena da Opera, una nenia acustica e melanconica dal retrogusto harrisoniano, in mezzo c’è la bellissima sviolinante, peace & love oriented Maggio, l’omaggio, non del tutto riuscito, a Rino Gaetano Gennaro, il blues “sociale” Lunatico Romantico Stomp e il rock benaugurante di Settembre. L’amaro in bocca lo lasciano i testi, non sempre all’altezza della musica, ma in futuro spero il buon Surace sappia rifarsi. Resta comunque piuttosto il solito rammarico di come un valido prodotto come il medesimo debba vedere la luce solo e ancora una volta autoprodotto per mano dell’autore, per colpa di un mercato discografico sempre più sordo e assente.
Giuliano Manzo