GUIGNOL
"Ore Piccole"
(Atelier Sonique, 2014)
Un po’ fuori tempo, mi ritrovo, con piacere, a scrivere dell’ultimo “viaggio sonoro” dei Guignol, band milanese già conosciuta da chi segue la musica “alta” in Italia, una band che da sempre ci cattura i pensieri e gli stati d’animo riportandoli nei testi come nella musica. Band rinnovata e produzione diversa (il bravissimo Giovanni Calella), dall’ultimo buon Addio Cane! del 2012, troviamo riconfermata l’inconfondibile voce di Pier Adduce, leader carismatico e creatore di testi e musiche, Enrico Berton alla batteria, Stefano Fascioli al basso e Davide Scarpato alla chitarra e al violino. Un sodalizio che si conferma vincente e che configura il nuovo lavoro, Ore Piccole, a mio parere, come la produzione più significativa della band. Un album non facile, ma che, ad un orecchio attento ed esperto, non può far a meno di emozionare e soprattutto far riflettere, su quelle che sono le “dinamiche” e i turbamenti del pensiero e delle azioni dell’uomo contemporaneo. I Guignol indagano, con meticolosità e spontaneità, i più svariati aspetti delle persone nel loro avvicinarsi alle storie di tutti i giorni, nel bene e nel male, vicende che hanno come sfondo il mistero e il silenzio delle notti metropolitane. Le ore piccole, come “locus” del nostro rivelarci, del nostro emozionarci, come del nostro sprofondare, per riconoscere noi stessi. Con realismo esitenziale e romaticismo i Guignol ci ricordano che la notte è fatta per guardarci dentro, anche se questo può farci paura.
Sfilano, come la storia di mille di noi, 10 quadretti noir, dal folk rock di L’Ulisse, metafora di un uomo che si è perso, a Gli Alberi Degli Impiccati, song intimista che trasuda una protesta soffocata, nell’immaginare il più orrendo dei gesti. Come un viaggio nella notte arriva improvvisa Certe Cose, che ci avvolge con un suono enigmatico amplificato dalle parole “certe cose fatte male vanno meglio, capita, stanno su senza sostegno”. Voce, chitarra, basso, batteria e violino creano un suono leggero e soffuso, tagliente e incisivo, mai scontato, perfetto sfondo ai testi di Adduce. Ci colpisce il giro di chitarra ipnotico di Tappezzeria, cosi come la bellissima Piccola Città, fusione tra De Andrè e La Crus, ancor di più Il Quartiere, dove la band mette a nudo l’estetica e le intime storie di ragazzi di quartiere. Eblematico il testo di Mr. Faust, cronostoria di un personaggio misterioso quanto bizzarro, chiudono il disco le emotive Un Pezzo Alla Volta e Staremo Bene, fino alla fumosa Le Consegne, il mio brano preferito, forse la composizione che più di tutte ci porta a riflettere ancora una volta.
Pochi sono in Italia gli artisti che, riescono, con equilibrio ed incisività compositiva, a proporre un lavoro cosi omogeneo e strutturato, capace di riflettere, con consapevolezza, i segreti dell’animo. Non possiamo fare a meno, ascoltando questo disco, di interrogarci sui nostri ricordi, sulle nostre azioni, sui nostri desideri, sui nostri errori e sulle nostre follie, quelle che abbiamo tutti lasciato, nelle ore piccole, tra le pareti delle nostre stanze come sulle strade delle nostre città. “Se è tutto vero oppure no, tu non lo sai e neppure io”.
Marco Pantaleone