PARO
"They Want Your Heart / In Naples"
(Kitchen Leg, 2014)
Rilassati e muori – Il processo si ripeterà / Nasci! Nasci! / Ritorna allo stesso vecchio sorridente dentista.
Al mio primo ascolto di They Want Your Heart / In Naples dei Paro, ultima novità della casa discografica italo/canadese di stanza a Berlino, mi ritorna alla mente il verso di Allen Ginsberg. Nulla muore e tutto rinasce, il tempo ci ripropone la rigenerazione dalle ceneri. Nelle mie orecchie subito riecheggiano vecchie distorsioni elettroniche di due decadi addietro, quelle di una band come gli Slint che rese l’hardcore un’esperienza matura e trascendentale. Ma facendo scorrere il disco e con il passare dei minuti ci sono radici ben più diramate dai Sonic Youth ai Stereolab, June Of 44 ai Suicide e ancora dai Tortoise agli Husker Du e volendo proprio esagerare similitudine con i più remoti Can. Si tratta di una cassetta composta di due lati, un lato A con quattro tracce e un lato B con un’unica traccia, una lunga suite di 19 minuti. La matrice dell’album è di chiara deformazione noise/hardcore ed elettronico/avanguardista, una sorta di Pollock musicale, frammenti che si infrangono continuamente lungo la linea sonora creando composizione di libera ispirazione, contaminazione e decontaminazione entrano in contatto tra loro, creando una spirale vorticosa dove si attende solo l’infrangersi sul muro per essere fissata e resa tale.
L’album si apre con They Want Your Heart, un vero e proprio omaggio a Spiderland degli Slint, una ballata lisergica slo-core, una successione di accordi e disaccordi che sfociano in scosse urlanti, squarci impregnati di hardcore in stile Sonic Youth allo stato conservativo in forma embrionale, destrutturati dalla formaldeide, il passato che riecheggia continuamente è scomposto e ricomposto e messo in penombra dall’acidità elettronica. Nella seconda traccia Knows You, lo slo-core iniziale vaporizza rapidamente una sorta di processo di nebulizzazione. Il ritmo è incalzante, una febbrile elettricità per niente statica, un incalzante movimento, una sorta di balletto in stile Tortoise con contaminazioni di un’epoca molto lontana, quella dei Can. Melodia e distorsione che si uniscono per creare una danza ipnotica, il preludio perfetto a Get Off. In Get Off la musica si tinge di atmosfere surrealiste quasi spaziali, il tempo scandisce un drum and bass iniziale, piacevole e ben equilibrato, nessuna esagerazione è prevista ed ogni dosaggio è azzeccato. Il tempo diventa geometrico con il variare delle battute si creano continue sovrapposizioni di imprevedibili melodie che sfociano nella sbraitante Pig Star, che si pone come un momento trascendentale, una vera e propria metamorfosi di cui l’effetto è quello di ridurre all’astratto il suo insieme. Pig Star è anche l’introduzione alla dimensione extraterrestre della traccia che chiude l’album, è il capolinea e la sua essenza allo stesso tempo, una lunga improvvisazione registrata a distanza di un anno dall’uscita del lato A. In Naples si presenta come una lunga suite psichedelica, tesa e dissonante con elementi di musica industriale e le assordanti sinfonie avant-garde che formano una singolare fusione di stili.
Come gran parte del post-hardcore e come tutto il rock d’avanguardia, i Paro non fanno, propriamente canzoni, non solo perchè le loro tracce ignorano la forma canzone ma anche perchè sconfessano sistematicamente le singole parti di questa. Altamente consigliato.
Daniele Carcavallo