SWANS
"To Be Kind"
(Mute / Young God, 2014)
Tredicesima prova per questi anomali “texani” (per chi non li conoscesse ancora l’anomalia a cui ci si riferisce sta nell’aspettarsi da questo gruppo di “cowboy” un sound con una matrice iconograficamente più appropriata al loro luogo d’origine, ma come spesso accade la percezione viene disattesa e l'”immagine” perde di senso a favore di un suono ruvido e tagliente che alcuni circoscrivono formalmente come “indipendente”). Tredicesima fatica di Michael Gira e soci, concepita per lo più durante il tour del precedente The Seer e da molti vista come seguito ideale, di primo impatto, può considerarsi tra le opere più accessibili, ben inteso per “accessibile” una metrica meno spigolosa e un sound, sotto certi punti di vista più lineare. Anche se più “accessibili” e con groove più orecchiabili, i “Cigni” di Gira, non cedono al richiamo dell’accondiscendenza del mercato, conservando intatto un suono consono ad imminente apocalisse o come colonna sonora del genere cataclismatico.
Dati brani con tempi decisamente dilatati, potremmo definire quest’album come un esempio di psichedelia macabra filtrata dalle peggiori crudeltà dell’animo umano. Stiamo parlando di ben centoventi minuti in cui vengono forgiati gli umori e gli amori malati di Gira, che spingono a camminare a piedi scalzi su di un sentiero che attraversa il proprio intimo samsara. Si esce vivi solo dopo aver toccato davvero il fondo di questo visionario viaggio tra le budella delle peggiori atrocità. Tra queste tracce, c’è un lento incedere, strafatti di mescalina in un deserto di morrisiana memoria, guidati da uno sciamano tribale attraverso il rumore e la ripetizione ossessiva. La voce di Gira, spesso accompagnata da perle quali St.Vincent o Little Annie, zigzaga nel delirio, salmodiando la negazione di una realtà fin troppo omologata, o filtrata per rendere al meglio l’ambiente di certi tetri teatrini da bassifondi, o magari tesa in un immaginario dialogo con se stessi solo per raccontare quel ragazzo chiamato Chester Arthur Burnett (in arte Howlin’ Wolf), rende questo feroce spettacolo più grottesco, e allo stesso tempo intriso di un inquietudine fuori dai consueti dettami della poetica della stessa band. Più che di ascolto sarebbe opportuno parlare di paesaggi sonori tratteggiati da stridii, rarefatte atmosfere gotiche, un inquieta linea di basso, disordinate suggestioni, voci d’oltretomba, percussioni dal sapore industrial, cadenze blues che ipnoticamente virano verso crescendo sonici, accordi laceranti amalgamati con agghiaccianti dissonanze in un caos sonoro. Nell’approccio a questo disco bisogna obliarsi e ritrovarsi, includendo, come ci suggerisce il nostro “anomalo texano”, prima di tutto i limiti e gli eventuali ostacoli di questo cammino. Un disco non di certo adatto ai voli pindarici, ma ben impiantato nel profondo nella carne, al punto da spingere l’ascoltatore a vivisezionare certe trame di oscurità e nichilismo. Di contro le sensazioni che se ne ricavano non sono di oppressione o di allontanamento dalla realtà, bensì un prendere fiato, un modo per scarnificare la realtà e tirar fuori l’umano, come ad esempio in Oxygen in cui Gira fantastica sulla propria morte accompagnato dalla lacerante tromba di Evan Weiss, oppure nella traccia A Little God In My Hands in cui su di un tappeto di archi ad opera di Julia Kent la voce di Gira si fonde con quella di Little Annie.
Gli Swans saranno anche attivi dal 1981 e Gira avrà anche superato la sessantina, ma To Be Kind è un opera decisamente ispirata e intensa, destinata a restare un caposaldo di un certo tipo di blues rock sperimentale. Da sottolineare a margine che, per quanto riguarda le sei diverse cover art dell’album, Gira ha atteso proprio dal 1981 che Bob Biggs gli concedesse il permesso di poter utilizzare le sue opere.
Max Zega