RICHARD THOMPSON
“Ship To Shore”
(New West Records, 2024)
Una gran bella notizia, un nuovo album del decano 75enne musicista inglese Richard Thompson, Ship To Shore: è uscito il 31 maggio 2024 su New West Records, a sei anni dal suo precedente lavoro 13 Rivers (2018). Thompson è da sempre chitarrista, cantante, compositore di altissimo livello ma questo non è certo un mistero per gli appassionati del rock di qualità da un po’ non più giovani. Per i listeners cuccioli volenterosi di recuperare il passato (speriamo molti!) sarà forse opportuno raccontare che Richard Thompson è dalla seconda metà degli anni ’60 tra i più illustri artefici del folk-fock britannico con i suoi Fairport Convention, la band che fondò nel 1967 con Simon Nicol e Ashley Hutchings.
I Fairport Convention, insieme ai Pentangle e agli Steeley Span, furono, con modalità differenti ma ugualmente carismatiche, la triade chiave per la creazione dell’affascinante corrente del folk-rock inglese che poi avrebbe avuto molti proseliti: per loro Thompson scrisse brani memorabili come No Man’s Tale, Farewell Farewell, Meet On The Ledge, Genesis Hall, Cajun Woman, Tale In A Hard Time, contenuti nei primi seminali cinque album (i più carismatici) della band cui partecipò tra 1968 e 1970, di cui tre pubblicati incredibilmente solo nel 1969. Dopo aver abbandonato i F.C., Thompson intraprese dal 1972 una fruttuosissima carriera solista praticamente ininterrotta fino a oggi, in cui ha approfondito il verbo folk-rock iniettando, nella sua carne e nel suo sangue, il siero inconfondibile del suo songwriting chiaroscurale, della sua voce ombrosa e altera, del suo chitarrismo originalissimo forgiato in avvincenti, contorte, liriche modalità elettriche.
Più di 40 album tra il 1972 e il 2024 tra dischi in studio, live e colonne sonore, tutti di grande qualità, a partire da quel primissimo seminale Henry The Human Fly del 1972 che ancora oggi rappresenta un caposaldo della bibbia folk-rock. Imbarazzante consigliare ai neofiti (se mai ce lo chiedessero) quali recuperare in un tale mare magnum discografico per iniziare una full immersion nello scibile Thompson-iano: certamente imperdibili sono tutti i lavori con la ex moglie Linda Thompson, soprattutto i tre consecutivi ispiratissimi di metà anni ’70 e quello del 1982 (Shoot Out The Lights), poi Small Town Romance (1984, live/solo 1982 in New York), Daring Adventures (1986), Rumor And Sigh (1991), Mock Tudor (1999), 1000 Years Of Popular Music (2003), Sweet Warrior (2007), 13 Rivers (2018). Certamente ne abbiamo perso per strada più di qualcuno valido scrivendo sul filo a volte labile della memoria di una validissima discografia lunga 56 anni.
Il nuovo Ship To Shore, coerentemente col suo titolo, profuma di mare e di salsedine sin dalla bella copertina dominata da giallo ocra e arancione che ritrae l’artista, con un look stilizzato da vecchio nostromo, beccato simpaticamente da due gabbiani, alle spalle i flutti di un mare non proprio calmo: è stato registrato da Thompson agli Applehead Recording di Woodstock (New York), spalleggiato dalla band che è con lui da molto tempo comprendente il chitarrista Bobby Eichorn, il bassista Taras Prodaniuk, il batterista Michael Jerome oltre alla harmony vocalist Zara Phillips e il violinista David Mansfield.
I primi due episodi che hanno preceduto l’album, Singapore Sadie e Freeze, annunciavano già un più che felice stato ispirativo dell’artista londinese: la prima un’esaltante fascinosa ballata lenta nello stile tipico di Richard Thompson, la seconda una vivacissima giga irlandese di sapore celtico altrettanto significativa della tradizione compositiva di Richard. Ma anche gli altri dieci brani di Ship To Shore suonano freschi e avvincono, con il titolare che si lascia andare spesso e volentieri in trascinanti performances chitarristiche soliste: dalle dolenti e fataleggianti The Fear Never Leaves You e Life’s A Bloody Show alla vivace e vibrante Turnstile Casanova, ennesimo danzereccio atto di fede folk; dalla splendida What’s Left To Lose, a tinte gospel, confortata dai cori di Zara Phillips e dai seducenti risvolti melodici alla tribale e mutevole The Old Pack Mule con il commovente violino di David Mansfield ad accarezzare l’anima.
Richard Thompson è in grandissima forma, come si può dedurre anche dagli altri cinque brani (Trust, The Day That I Give In, Lost In A Crowd, Maybe, We Roll), ben costruiti e dal mood molto vario: la sensazione è che Ship To Shore avrebbe potuto essere un doppio lavoro, speriamo il grande Richard non ci faccia attendere altri sei anni per un nuovo lavoro.
Pasquale Boffoli
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