ROGER CORMAN (1926-2024)
“Ero un regista, solo questo.”

Ingegnere e contemporaneamente contrabbandiere di macchine fotografiche, fattorino e poi lettore di sceneggiature presso la Twentieth Century-Fox, scrittore e regista in oltre 50 film, produttore di circa 130 pellicole, distributore e ambasciatore negli Stati Uniti dei film europei di Fellini, Resnais, Truffaut, Bergman, creatore di una vera e propria factory dalla quale sono usciti registi del calibro di Francis Ford Coppola (giovane fonico di alcuni suoi film), Martin Scorsese e Joe Dante (suoi assistenti alla regia), Jonathan Demme e Peter Bogdanovich, nonché attori come Jack Nicholson, Robert De Niro, Dennis Hopper, Peter Fonda, Roger Corman, oscar alla carriera nel 2009, scomparso lo scorso 12 maggio 2024 alla venerabile età di 98 anni, è stato soprattutto un fantasioso inventore di generi e di nuovi modi e mondi di fare cinema, in quella sorta di terra brulla che è l’anti-sistema hollywoodiano.

Dalla fantascienza ai western, dai teen movie ai gangster movie, dalle commedie fino al seminale manifesto sull’integrazione razziale espresso in The Intruder (1962), il regista di Detroit sarà ricordato nell’immaginario cinematografico come uno dei più industriosi “artigiani” di opere a basso costo: quasi un mantra, per lui, che non a caso ha titolato la sua autobiografia “Come fare 100 film senza perdere un centesimo”. Contrario alla specializzazione e aperto a ogni esperienza visiva su grande schermo, se messi alle strette e costretti a scegliere fra i tanti generi che hanno popolato la sua sconfinata filmografia quello che più di altri lo ha connotato agli occhi degli spettatori, allora dobbiamo considerare Corman come uno dei maestri del genere horror di matrice gotica.

Se l’endiadi cinema e letteratura gotica inaugura il proprio alfabeto visivo fra il 1931 e il 1932, con la trasposizione su grande schermo dei due romanzi che hanno reso famosi Bram Stoker e Mary Shelley (“Dracula” di Tod Browning e “Frankenstein” di James Whale, autentiche pietre angolari del genere), e la Universal dà il là a un genere che in seguito affronterà attraverso il pastiche e il pulp fino alla parodia, è dalla seconda metà degli anni ’50 che l’intraprendenza di un giovane regista di Detroit ridona slancio al genere, ridisegnandolo con un’innovativa ricerca stilistica e caratterizzandolo con un più accurato studio dei soggetti. Influenzato da autori autoctoni, in particolar modo dai racconti di Edgar Allan Poe, Roger Corman si immagina un inner circle sui generis, dando vita a un insieme virtuoso composto dallo scrittore Richard Matheson (“Io sono leggenda”, 1954) alla sceneggiatura, da Floyd Crosby e poi Nicolas Roeg alla direzione della fotografia, e affidandosi alla recitazione di quello che sarà considerato il suo attore feticcio, l’istrionico e teatrale Vincent Price.

Dopo aver spostato la produzione dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, nel giro di un lustro, con budget ridotti e mezzi limitati, facendo di necessità produttiva virtù stilistica, lavorando molto a livello di pre-produzione, decidendo in anticipo tutte le inquadrature, prima di girare, e arrivando fino a prevedere le settimane precise di lavorazione, Roger Corman gira 7 film di grande presa sul pubblico che sono altrettante trasposizioni cinematografiche di racconti di Poe, di cui almeno due unanimemente considerati capolavori del filone gotico: La Maschera Della Morte Rossa (1964) e La Tomba Di Ligeia (1965). Pellicole ispirate ai racconti dello scrittore bostoniano, quindi, ma non adattamenti fedeli, d’altra parte impossibili, essendo molti di quei racconti molto corti e la storia dei personaggi racchiusi in poche scene.

Con l’abilità di un raffinato artigiano, rielaborando il concetto di gotico e adattandolo allo sguardo dei suoi contemporanei, Corman si fa conoscere nel circuito cinematografico tanto che le sue produzioni diventano uno dei tre poli d’attrazione dell’horror a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, insieme alla Hammer britannica e alla produzione italiana di Mario Bava, Riccardo Freda e Antonio Margheriti. Tuttavia, la sua passione per Poe viene tradita nel 1963 quando gira The Haunted Palace (La Città Dei Mostri) pellicola in questo caso ispirata al racconto di H.P. Lovecraft “Il caso di Charles Dexter Ward” (forse il più poeano dei racconti di Lovecraft, scritto nel 1927 e pubblicato postumo nel 1941). La tensione verso un orrore immateriale, gli “strani eoni in cui persino la morte può morire”, che è uno dei topos poetici di Lovecraft, in Corman trova traccia solo in questa produzione, e seppur ridotta all’unica dimensione dello scienziato pazzo, riesce tuttavia a evocare quegli abissi di terrore che prorompono dalle pagine dei migliori racconti del romanziere di Providence.

Ma The Haunted Palace rappresenterà un unicum nella produzione cormaniana, essendo i temi posti al centro delle sue pellicole gotiche senza dubbio più prossimi a Poe che a Lovecraft; si pensi per esempio alla progressiva perdita di senno frutto di tare ereditarie; oppure al rapporto con il femminile, in qualche modo sbilanciato verso un romanticismo malsano; e ancora all’oppressione psicologica, in un modo o nell’altro quasi sempre presente nelle pellicole di Corman. Un artigiano del cinema, quindi, ma sempre attento all’evoluzione dei suoi personaggi, ai loro desideri e paure inconsce, alle loro idiosincrasie.

“La parte conscia del mio Io è da sempre attratta dal genere horror e gotico perché dà grandi spazi e opportunità per “giocare” con le immagini e le suggestioni visive. Ma penso che nel mio inconscio ci sia una parte di me che gioca o affronta o risolve così le proprie paure.” Roger Corman.

Maurizio Fierro

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