FEDOR KAHLIL KRAMER
"The Wake Of Urizen"
(Electric Goat, 2014)
Stuzzicante esordio discografico da parte di questo misterioso poeta-musicista, polistrumentista italiano spesso itinerante tra Inghilterra e Germania, che si cela dietro lo pseudonimo Fedor Kahlil Kramer. Accattivante il package dell’album nell’edizione CD, stile Mini LP sul quale si staglia oscura, fascinosa ed esoterica, l’immagine di un dipinto su tela, (il ritratto di Urizen), opera frutto della fantasia e dell’estro creativo dell’autore Max Petru e di “Fedor”. Intrigante è il titolo, The Wake Of Urizen (il risveglio di Urizen); Urizen nell’ambito del complicato “ensemble mitologico immaginario” del poeta e pittore inglese William Blake (Londra, 28 novembre 1757 – 12 agosto 1827), era incarnato da un uomo vecchio e barbuto, a volte accompagnato da strumenti da architetto, per creare e dirigere l’universo; altre da reti con le quali intrappolava la gente nella ragnatela della legge e della cultura prestabilita. Nel “mondo blakeiano” questo essere rappresentava la personificazione del sapere convenzionale e della legge.
Un risveglio della conoscenza/coscienza che si interseca inesorabile con i quasi quarantacinque minuti (classica durata dell’LP, infatti The Wake Of Urizen è stato realizzato sia su supporto vinilico che digitale) nei quali sono articolate le dieci tracce che compongono questo album. Suggestivo ed ipnotico, schiudersi di un avvolgente paesaggio space progressive folk psichedelico, in un “incantato”, onirico, visionario tragitto sonico; ammaliante soundtrack nella quale convergono con stile, nerbo e personalità le influenze musicali dello sconosciuto “Signor Fedor”. Un “tappeto elettronico” che trova il proprio background sonoro a mio avviso principalmente nella Kosmische Musik di stampo teutonico (Tangerine Dream docet) amalgamata a “sussurrati” frammenti space rock “targati” Gong e Hawkwind, strizzando l’occhio alla sognante dimensione folk di Nick Drake ed ai lavori solisti del grande e compianto Richard Wright ex tastierista dei Pink Floyd. Interessante, creativo lavoro solista di nicchia dal notevole e pregnante richiamo a sonorità vintage “made in seventies”, ma che nonostante ciò brilla di una dimensione autonoma e personale.
Luciano De Crescenzo