LE CITTÀ INVIVIBILI
"EP"
(Produzioni Invivibili, 2014)

Le Città InvisibiliChissà se le città menzionate da Pasquale De Rosa (voce, chitarra, batteria, pc-controls) e Simonetta Gorga (basso, pc-controls) sono reali o immaginarie e se, come nel libro di Calvino, siano anch’esse espressione del disordine. Un disordine che, a dire il vero, fuoriesce tutto nei testi del loro EP. La domanda semmai è un’altra, e cioè se a questo segue, come nel libro, il bisogno di ovviare a quel caos stesso.

Sei tracce low-fi ai limiti dell’ansiogeno che disegnano da subito luoghi dove, non a caso, all’impossibilità di comunicare segue il desiderio di morte, come inevitabile e unica opzione: il mare (“Vorrei nuotare sotto le onde del mare e dentro le sue profondità annegare”); l’aria (“Vorrei volare sopra le nuvole amare e in mezzo queste sofficità asfissiare”). Le Città Invivibili si rifanno, tra gli altri, ai suoni apocalittici di gruppi quali Ulan Bator e Zu, per quanto nel brano di apertura, La Canzone Del Suicida, basso e chitarra sembrano mescolare insegnamenti di gruppi come Primus e Fugazi (il riferimento è, rispettivamente, a Pork Soda e Steady Diet Of Nothing). L’album prosegue con l’allucinata Finestre, tanto nella musica (una ballata dark straziante e monotonale) quanto nel breve testo: un salto nel vuoto coerente con la traccia che la precede (“Salterò e romperò il vetro / Così in caduta le schegge mi inseguiranno / Avrò visioni contorte ed illeggibili per la velocità). Canzone Dello Specchio segue stilisticamente il percorso già tracciato e apre al contempo un nuovo scenario narrativo, volto a speculazioni che non fanno trapelare chi o cosa possa nascondersi dietro l’immagine riflessa. Ne I Colori Del Frigido il suono delle chitarre diviene più aperto e il tempo incalza, anticamera di quanto avverrà nella successiva title track: cavalcata sonica di circa sette minuti, unico brano strumentale e climax dell’EP. Chiude, senza coda, Tempi Arresi, traccia interrotta bruscamente nel bel mezzo di un riff, a sottolineare che il senso dell’intero disco (con ovvi e impliciti rimandi) è “un lago in cui si sprofonda, un altare sacrificale”. La soluzione al caos posta dal duo non lascia spazio a fraintendimenti alcuni e interrompe, di fatto, le analogie con il romanzo di Calvino. Una visione che si può non condividere, ma che si deve necessariamente contemplare per provare a far fronte all’ineluttabile, all’interruzione improvvisa di quei significati che abbiamo dato per scontato soltanto fino a un attimo prima.

Emanuele Bukne