JETHRO TULL
“RokFlote”
(Inside Out Music / Sony Music, 2023)
Questa volta l’inossidabile Ian Anderson è stato davvero velocissimo: ha sfornato il 21 aprile 2023 RockFlote, un nuovo disco con i suoi sodali Jethro Tull – il 23esimo in studio – a un solo anno di distanza dal pregevole The Zealot Gene (2022, leggi la mia recensione) pubblicato invece clamorosamente dopo un lunghissimo lasso di tempo, a 23 anni da Jethro-Tull Dot Com (1999) e a 19 dal Christmas Album (2009). Sono stati necessari 4 anni di gestazione, dal 2017 al 2021 ma ne è valsa la pena, The Zealot Gene è un album fresco e godibilissimo che non ha deluso fan vecchi e nuovi dei Jethro Tull. La line-up di questo nuovo RockFlote è quasi la stessa del precedente: David Goodier al basso, John O’Hara alle tastiere, Scott Hammond (batteria, percussioni) con la sola novità di Joe Parrish-James (chitarra elettrica e acustica) invece del tedesco Florian Ophale. Parrish James compariva comunque già in The Zealot Gene solo nel brano In Brief Visitation.
Le tematiche del nuovo lavoro sono però completamente diverse da quelle del precedente che consisteva in una serie di song/sketche tra il serio e il goliardico sulla società contemporanea, un aplomb beffardo e critico non certo nuovo per Ian Anderson cui ci aveva abituati sin dagli epici inizi anni ’70 di Aqualung (1971) e Thick As A Brick (1972): RockFlote punta al contrario e a sorpresa su atmosfere e figure ancestrali del paganesimo nordico come già rivelano i titoli di alcuni brani, Ginnungagap e le due song Voluspo e Ithavoll (prima e ultima del disco) in cui si può ascoltare recitare in antico islandese Unnur Birna, attrice, cantante e violinista.
A nostro parere musicalmente RokFlote ha nettamente i suoi picchi espressivi – lo dichiariamo subito – quando a essere privilegiato è un mood più leggiadro e favolistico a tinte folk e con puntate nella musica di corte medievale (in The Feathered Consort, la magnifica Cornucopia, Trickster And The Mistletoe, Allfather, The Perfect One) che riconduce ai fasti di album fine anni ’70 come Songs From The Wood (1977) e Heavy Horses (1978).
Altrove in RokFlote a prevalere sono, con esiti un po’ altalenanti, quei sontuosi equilibrismi e interazioni hard rock/folk flauto – chitarra solista (in Wolf Unchained, The Navigators, Ithavoll, Guardian’s Watch, Hammer On Hammer) che hanno caratterizzato sin dagli ormai lontanissimi inizi i momenti più salienti della prolifica carriera tulliana. Molto in sordina invece risultano in questo lavoro le tastiere di John O’Hara, impiegate solo con funzione di rifiniture armoniche.
I magici e incantati flauti di un più che maturo Ian Anderson – non più soffiati freneticamente alla Roland Kirk come in giovinezza – alla fine spadroneggiano in questo disco che pare all’inizio dovesse essere solo strumentale. Un marchio di fabbrica quello dei Jethro Tull che incredibilmente nel 2024 ha ancora – grazie ad una purezza incontaminata di stampo progressive – un suo perché, una sua dignità artistica lontani anni luce da sterili e inconsistenti novità musicali contrabbandate da media e addetti ai lavori compiacenti. Lunga vita all’impenitente, fiero e ancora attivissimo 76enne Ian Anderson, lunga vita ai Jethro Tull.
Pasquale Boffoli
N.B. Un doveroso ringraziamento a Giuseppe Scaravilli, musicista e fine saggista musicale siciliano tra i massimi studiosi italiani della band di Ian Anderson, autore di due libri sui Jethro Tull, che mi ha aiutato a integrare con alcune notizie questa recensione. Suoi altri articoli sul gruppo che possono essere consultati su Frastuoni webmagazine.
Link:
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