GENE CLARK
“White Light”
(A&M Records, 1971)
Con White Light, in assoluto uno dei migliori lavori del folk rock cantautoriale americano, Gene Clark riprese il suo percorso solista dopo aver lasciato i Byrds nel 1966 e registrato con i Gosdin Brothers e con il gruppo pionieristico del country rock Dillard & Clark. Con la sua suggestiva cover nera che raffigurava la sua figura illuminata dal sole, venne subito soprannominato White Light, anche se le parole non compaiono sulla copertina. Clark si prese del tempo per affinare il suo modo di scrivere canzoni fino ai suoi elementi essenziali lavorando nel suo rifugio californiano di Mendocino, dove creò una serie di pezzi intimi e poetici. La sua attenzione su questi brani è intensa; sono tesi al punto giusto e riflettono la sua crescente ossessione per la musica country.
L’intero album è pervaso da un sentimento di desolazione che arricchisce una serie di canzoni talmente meravigliose da essere considerate tra le sue migliori di sempre. Grazie alla produzione e alla collaborazione del chitarrista Jesse Ed Davis e con il supporto di una band composta dal bassista dei Flying Burrito Brothers, Chris Ethridge, dall’allora pianista della Steve Miller Band e futuro jazzista Ben Sidran, dall’organista Michael Utley e dal batterista Gary Mallaber, Gene Clark porta le sue creazioni a compimento con rinnovata fiducia incidendo quello che è con ogni probabilità, senza dimenticare No Other, del 1974, il suo capolavoro.
La scrittura dell’artista, come evidenziano le straordinarie The Virgin, Because Of You, For A Spanish Guitar, With Tomorrow e One In A Hundred, rivela una sorta di cruda semplicità nei loro versi utilizzando melodie mutuate dal country e mostra una architettura poetica originale. Con White Light, Gene Clark è riuscito a creare una gamma ampia di motivi colmi di melodie eterne, di rude gentilezza e straziante intimità. La sua personale rilettura di Tears Of Rage di Bob Dylan e Richard Manuel, verso la fine del disco, rivaleggia a modo suo con quella solenne di The Band grazie al suo tono sconcertato di rassegnazione nell’accettazione di un futuro nell’abisso. Come già detto in precedenza il titolo del disco non compare sulla copertina, con la sua istantanea dal colore scuro. Un’immagine in perfetta armonia con l’atmosfera malinconica della sua virtuosa musica e che lo rendono un ascolto obbligato e un classico assoluto.
Marco Galvagni
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