THE WHO: “My Generation, Tommy, Quadrophenia ed altre meraviglie …”
Gli Who, altra leggendaria band inglese, furono l’unico gruppo (oltre Jimi Hendrix) ad esibirsi sia al Festival dell’Isola di Wight, nel 1970, che a quello di Woodstock dell’anno precedente. Già attivi dal 1964, ebbero modo di presentare in entrambe le occasioni il loro capolavoro: e cioè la versione live dell’intero Tommy, concept album uscito nel 1969 contenente un’unica storia, con brani tutti legati tra loro. All’Isola di Wight suonarono questa suite come chiusura di show, dopo aver eseguito altri 9 brani. Giunto il momento di eseguire Tommy il batterista Keith Moon chiese al pubblico di fare silenzio, poiché stavano per presentare la loro “Rock Opera”. Il pezzo intitolato A Quick One (tratto dall’omonimo album del 1966), suonato durante il singolare evento “The Rolling Stones Rock And Roll Circus” del 1968, aveva gettato le basi per questo tipo di ricerca musicale più matura, presentandosi come una mini-suite composta da più frammenti musicali ben amalgamati tra loro. E Tommy (preceduto nella loro discografia dal brillante parodistico lavoro The Who Sell Out del 1967) aveva rappresentato la compiutezza di questa elaborazione maggiormente complessa del concetto di semplice rock’n’roll, finendo per rimanere il traguardo più alto raggiunto dalla loro pluridecennale carriera.
Il compositore era il chitarrista e cantante Pete Townshend. La voce solista era affidata al carismatico Roger Daltrey, mentre il citato Keith Moon si scatenava come un ossesso alla batteria, con John Entwistle a fargli quasi da “contrappeso” con la sua serafica calma sulla scena (nonostante l’imponenza roboante del suo basso elettrico). Dopo essere stati per un breve periodo esponenti del movimento mod inglese, con capelli corti e giacche su misura, gli Who trovano il successo nel 1965 con l’inno generazionale intitolato appunto My Generation, che vedeva Roger Daltrey cantare balbettando di proposito: è un brano dall’impatto devastante (più o meno quanto la coeva Satisfaction dei Rolling Stones), mentre gli insuperabili Beatles si muovevano ancora su musicalità più morbide e rassicuranti. Il periodo mod incendiario della band, influenzato in modo massiccio da r&b e soul americani, sarà immortalato per sempre e per i posteri in The Who Sings My Generation, uscito nel 1965.
Nel giro di pochi anni gli Who si trasformano in una macchina da guerra: capelli lunghi, Townshend che roteava il braccio destro per fare scena e colpire energicamente la chitarra, Daltrey che, con giacca a lunghe frange, faceva mulinare in aria il microfono trattenendolo per il cavo, e tutti gli strumenti sfasciati alla fine di ogni show (come in occasione del Monterey Pop Festival del 1967). Dopo l’epico Live At Leeds del 1970 (per molti il miglior disco rock dal vivo di sempre) e il magnifico Who’s Next (1971), Pete Townshend ci riprova con l’opera rock, dando alle stampe Quadrophenia (1973). Questa volta il progetto si rivela più sofferto del previsto, e lo stesso Pete finirà per dubitare di riuscire a portarlo mai a compimento.
Anche dal vivo il lavoro non ottiene lo stesso successo del suo predecessore, con Roger Daltrey che, sul palco, perde anche troppo tempo nello spiegare al pubblico l’evolversi del racconto tra un pezzo e l’altro. Lo stress accumulato porterà persino Pete e Roger a venire alle mani, mentre uno strambo avvenimento accaduto durante la data del 20 novembre 1973 a San Francisco, non contribuisce certo a rasserenare il clima di quel periodo: infatti in quell’occasione Keith Moon, che aveva assunto un sovradosaggio di tranquillanti per cavalli prima del concerto, verso la fine dello show collassa sulla batteria. Si cerca di farlo proseguire in qualche modo, ma Moon non è più in sé e viene prima bloccato da Pete, mentre il batterista si dimena come un ossesso sul palco. Quindi viene portato via con la forza, con Townshend che chiede al microfono se tra il pubblico è presente qualche batterista: e così un tizio sconosciuto (il diciannovenne Scott Halpin), che era andato semplicemente a vedere uno show degli Who, si ritrova a suonare con loro per gli ultimi 2 brani del concerto. Esiste anche il filmato di questo tragicomico episodio.
Del secondo concept album fa comunque parte la fenomenale Love Reign O’er Me: all’inizio tranquillo con rumore di pioggia, piano e voce bassa, fa da contrasto l’urlo di Roger sulla parola “love” nel refrain. Entrambe le opere rock, Tommy e Quadrophenia, diverranno altrettanti film: il personaggio di Tommy verrà interpretato dallo stesso Roger Daltrey nel 1975, con la partecipazione di Jack Nicholson, Elton John, Eric Clapton, Tina Turner e gli stessi Who; mentre nella versione cinematografica di Quadrophenia (1979) comparirà anche un giovane Sting. Il protagonista di questa seconda opera rock si chiama Jimmy, un adolescente alla ricerca della propria identità nel contesto della lotta tra mods e rockers. Tommy era invece un ragazzo divenuto sordo, muto e cieco dopo aver assistito, quando era ancora bambino, all’omicidio di suo padre da parte del patrigno, per poi scoprirsi bravissimo nel gioco del flipper, sconfiggendo il campione in carica (Pinball Wizard), divenendo quindi una sorta di nuovo messia purificato dalle trascorse esperienze (I’m Free).
Bellissimo il tema di See Me, Feel Me, che ricorre attraverso l’intero concept, dall’overture iniziale alla maestosa conclusione. Per inciso anche Phil Collins parteciperà in veste di attore alla rappresentazione dell’opera nel 1989, in occasione del suo 25° anniversario. Se durante i concerti del 1969-1970 Pete Townshend compariva sul palco in tuta bianca, sbarbato e con una Gibson SG rossa, gli anni successivi lo avrebbero visto con barba, capelli più corti e una Gibson Les Paul scura con battipenna bianco. Esistono filmati del 1977 (Behind Blues Eyes, I’m Free) e del 1978 (Won’t Get Fooled Again, Baba O’Riley) che vedono la band con Keith Moon ancora scatenata: Roger indossa jeans e maglietta, con lo scotch nero avvolto sul microfono al fine di evitare che il cavo potesse staccarsi durante le sue evoluzioni; Pete indossa invece camicia marrone e pantaloni bianchi, strapazzando una Gibson di color rosso scuro e dimenandosi come un forsennato sul palco. Nel corso del festival all’Isola di Wight, John Entwistle aveva indossato invece un assurdo costume nero con le ossa di uno scheletro dipinte sopra.
Dal vivo Tommy veniva presentato in una versione più breve rispetto a quella del disco, ma ancora più efficace. Moon utilizzava un piatto al posto dell’usuale charleston. L’adrenalinica Won’t Get Fooled Again (1971) fu il primo singolo di successo contenente suoni di sintetizzatori. Altri brani leggendari sarebbero rimasti Can’t Explain, Happy Jack, Pictures Of Lily, Young Man Blues, Substitute, I Can See For Miles, Magic Bus e la citata Behind Blue Eyes. Il gruppo ritrova il successo nel 1978 con Who Are You, l’ultimo album con Keith Moon, che muore quello stesso anno, sostituito per i concerti dal vivo dall’ex Faces, Kenney Jones. Con quest’ultimo verranno incisi 2 album: Face Dances (1981) e It’s Hard (1982).
Dopo Who’s Last (1984), Join Together (1990) e un intervallo di 16 anni, gli Who pubblicheranno ancora in studio nei 2000 Endless Wire (2006), l’inaspettato omonimo ed ottimo The Who (2019, leggi la recensione di Pasquale Boffoli su Frastuoni webmagazine); infine il monumentale The Who With Orchestra: Live At Wembley (2CD, 3LP) uscito il 31 marzo 2023, dove a sorpresa rivisitano magnificamente con un’orchestra e sublimandoli tutti i loro immarcescibili cavalli di battaglia senza tempo, a sommo coronamento di una carriera formidabile: brani da Quadrophenia, Tommy, Who’s Next, Who Are You e dall’ultimo Who. Dal vivo continueranno ad esibirsi anche dopo la scomparsa di John Entwistle, trovato morto in un albergo di Las Vegas nell’estate del 2002, e sostituito da Pino Palladino, con il figlio di Ringo Starr alla batteria. I lettori della rivista «Rolling Stone» sceglieranno proprio Entwistle quale miglior bassista di tutti i tempi. Gli Who non mancheranno l’apppuntamento con il Live Eight del 2005 (più noto per la reunion dei Pink Floyd con Roger Waters) e l’occasione della cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici di Londra del 2012.
Il documentario intitolato “The Kids Are Alright”, diretto da Jeff Stein e pubblicato nel 1979, riuscì a fissare su pellicola l’intera parabola della band nella sua formazione originale, includendo materiale del periodo 1965-1978, incluse apparizioni televisive, brani dal vivo, videoclip ed interviste. Non mancavano alcune lunghe conversazioni tra Keith Moon e Ringo Starr e le apparizioni al festival di Woodstock del 17 agosto 1969 e a quello di Monterey del 18 giugno 1967. Altri estratti dal vivo riguardavano il concerto al Pontiac Silverdome (nei dintorni di Detroit) del 6 dicembre 1975, con la band che raggiungeva il suo apice suonando di fronte a 76.000 persone. Il documentario venne mostrato in anteprima al gruppo nel corso di una proiezione privata, e Keith Moon si mostrò scosso nel guardare il proprio decadimento fisico nel corso degli anni. Sarebbe morto una settimana dopo, nel sonno, a seguito di un avvelenamento da tranquillanti successivo alla sua partecipazione ad un party organizzato da Paul McCartney.
Giuseppe Scaravilli
(con il contributo di Pasquale Boffoli)